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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Carlo Lapucci

L'arte di fare il cattivo

Graphe.it, Pag. 56 Euro 6,00
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Ovvero origine, epifanie e metamorfosi dell’Orco
Decisamente alla Graph.it sanno come prendermi per la gola. Prima c’è stata la storia del segnalibro, già recensita dopo avida lettura, da me che adoro i segnalibri. Ora mi hanno solleticata con un’altra astuzia: scrivendo sul Paradiso degli Orchi, perché non parlare davvero di orchi? Ed ecco quest’altra chicca: un agile libriccino realizzato con quella cura e completezza che ho capito essere la specialità della casa. E hanno colpito nel segno anche perché (ma questo non potevano saperlo) il mondo delle fiabe tradizionali è stato per lungo tempo un mio argomento di studio.
   Qui si raccontano nascita e trasformazioni di un personaggio che ormai tendiamo a immaginare in modo piuttosto superficiale, appiattito su modelli stereotipati se non addirittura sui suggerimenti dei film di animazione. Invece, è bene saperlo, l’Orco trae origine in ambito mitologico, e basterebbe riflettere sul nome per collocarlo nel suo habitat naturale, cioè nel mondo degli inferi.
   L’Orco è nella tradizione pagana il dio della morte (Plutone), il regno dei morti, la Morte stessa, la tomba che inghiotte e annulla, la paura che da tutto ciò proviene.
   Basta questa frase a ribaltare il senso che abitualmente diamo alla figura dell’Orco: non il timore suscitato da una singola creatura feroce, ma una paura esistenziale che alberga nella sfera più profonda di noi tutti.
   Questo per quanto riguarda le origini, ma non meno interessante è lo studio della sua evoluzione. Affidato alla tradizione orale, alla fantasia popolare, alle lunghe veglie invernali delle famiglie contadine davanti al camino acceso, il mito ha potuto adattarsi, contaminarsi, sfaccettarsi in numerose varianti, arricchirsi di dettagli e perderne altri per strada. E alla fine, facendo l’appello, vediamo che al nome di Orco risponde un variegato stuolo di personaggi.
   Così, dalla primaria identificazione con la Morte, scaturisce l’immagine dell’Orco Cannibale, divoratore di esseri umani con preferenza per i bambini. In molte fiabe prende invece le caratteristiche del Vento, aspetto meno noto ma ben radicato in una tradizione che lo assimila a presenze demoniache.
   Il cristianesimo, nella sua versione popolare, ha visto nel vento il dominio dei demoni dell’aria, quegli spiriti maligni che stanno tra la terra e la luna. Sono i demoni che scatenano la loro forza e mostrano la faccia durante le tempeste…
   Vento distruttore contrapposto al sacro soffio dello Spirito divino da cui emanano i venti favorevoli.
   Altre declinazioni sono quelle del Gigante e del Drago. In alcuni casi può essere assimilato direttamente al Diavolo, con il quale ha in comune la coda. Mostro, Mago, Uomo Selvatico, Uomo Nero, l’Orco entra anche nel raffinato mondo delle corti secentesche con la variante di Barbablù.
   La descrizione più classica e più comune è però quella che io ricordo dai miei primi libri (ne conservo uno, stracciato e scarabocchiato, che non ho nemmeno bisogno di guardare tanto mi è impresso nella memoria) e che Lapucci così riassume:
   … un omaccione un po’ più alto del normale, ma grasso e sgraziato: naso schiacciato, grosse narici, testa bitorzoluta, sopracciglia folte, la bocca grande munita di potenti zanne di porco…
   Questo è il personaggio che ci spaventava da bambini, ma ora che siamo cresciuti possiamo tranquillamente smontare il giocattolo per capire il meccanismo. Dunque l’Orco è superato? No. Come ci ricorda Carlo Lapucci esso è una figura del tutto fantastica, ma con radici molto profonde nell’umano e dotato di una funzione che è ancora viva e richiesta nella cultura attuale.
   Due belle illustrazioni, di cui una di Gustave Doré (conosciuto forse più per le tavole della Divina Commedia ma anche squisito illustratore di fiabe) completano il libro insieme a una ricchissima e accurata bibliografia. Un ottimo punto di partenza per chi volesse approfondire l’argomento.

di Giovanna Repetto


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