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CLASSICI

Alfredo Ronci

L'eterno duello con la vita: 'La sparviera' di Gianna Manzini

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Devo essere sincero: non ho mai amato Gianna Manzini. Il suo lirismo decisamente estetico ed invadente (Emilio Cecchi lo definì abbagliante) mi ha sempre portato a ritenere che una letteratura più magra, pur nell'aggravio di vicende drammatiche e tortuose, potesse essere una chiave di confronto più tollerabile. Viene automaticamente da ciò una preferenza per la Manzini più breve, più 'raccolta': e non è un caso d'aver amato Bestiario, un libriccino di racconti di qualche decennio fa ripescato e riassemblato dalle Edizioni del Vento e che riportava del suo amore per gli animali, soprattutto gatti.

Nemmeno Ritratto in piedi il libro del 1971 con cui vinse il premio Campiello mi ha mai affascinato: quella tentazione poetica, ad un passo dallo stravolgimento prosaico, può valere per una rappresentazione più spedita e meno magmatica. I suoi romanzi quasi sempre soffrono di sovrapposizioni (sempre Cecchi: complicata).

Ma La sparviera andava letto, vuoi per gli agganci letterari, vuoi per l'ossessione della scrittrice per l'inevitabilità del destino e di conseguenza l'adattabilità dell'individuo a questa sorta di legge naturale della vita.

La storia ha una forte componente autobiografica: 'la sparviera' non è altro che una rappresentazione 'animalesca' (epifanica addirittura, soprattutto nelle ultime pagine) di una malattia: la brochite, della quale soffriva fin da bambina e che la perseguitò fino alla fine dei suoi giorni. Qui 'trasla' l'assillo, e fa ammalare un bambino, Giovanni Sermonti, ripreso nella tenera età (niente altro che una bronchitella precisò il dottore, in serata) e poi segnato durante tutta l'esistenza, fino a morirne.

Il protagonista è figura umanissima e raccontato in concisi segni che testimoniano, nonostante l'handicap, un attaccamento alla vita commovente (come nell'episodio della prima grande guerra dove, a dispetto delle sue difficoltà, Giovanni sorregge un camerata ferito fino a portarlo al sicuro).

Pure la decisione di donare gran parte delle sue terre ai contadini che si lamentano di soffrire la fame, quando già il suo destino è segnato, sembra essere più che componente 'proto-socialista' o afflizione umanitaria, una specie di arricchimento personale e di dono alla vita.

Ma questa vita specifica l'eterno duello.

Perché il tassello determinante de La sparviera e quindi del motivo essenziale, che ne amplifica la resa, è Stella, la grande passione di Giovanni, una bambina che il protagonista, in convalescenza, conosce durante una festicciola in casa e che rimarrà un punto di riferimento passionale ed erotico, nonostante il matrimonio con altra donna.

Stella è il contraltare: diventa un'attrice di teatro famosissima, adorata, quindi perennemente in giro per il mondo. Quasi un affronto rispetto alla stanzialità di Giovanni che, appena può, 'corre' ad ammirarla e a dichiararle il suo eterno amore.

Ma il destino crudele è in agguato – o forse la realizzazione concreta di un'ossessione di fondo: la brutalità dell'esistenza e la conseguente impossibilità a sottrarvisi – e Stella morirà all'improvviso creando un vuoto incolmabile nel protagonista.

Si parlava, righe prima, di inevitabili agganci letterari: la vicenda de La sparviera ricorda, pur con le debite differenze, la tradizione appendicista (non me ne vogliano i puristi) e quella ancor più evidente di una memoria musicale (Violetta e La Traviata).

Ma della malattia, nello specifico, se ne fa una protagonista iniziale e finale e personificata di grado in grado come 'brivido', 'impaccio', 'peso' e nella fase conclusiva un qualcosa di volante e spavaldo che saltella da una parte all'altra di un ambiente.

Dunque una protagonista terza della vicenda che si insinua in mezzo e nel bel mezzo di una passione.

Scrisse a suo tempo Giuseppe De Robertis: Tutti i personaggi della Manzini sono soli. Nella vita non hanno trovato l'accordo da cui nasce la felicità, o ne hanno trovato uno fittizio, che non rompe la solitudine e non dà felicità.

Giovanni Sermonti è sì un uomo infelice, ma in questa sua situazione drammatica trova sempre un senso 'maggiore' per restituirsi almeno una speranza di sopravvivenza.

Forse questa è la lezione principale de La sparviera: di tutti i romanzi della Manzini quello meno invadente e pesantemente rigoroso.

Lei che provava una sincera gratitudine per la Woolf e che in proposito scrisse: la leggevo e imparavo a raccogliermi l'anima e a tenerla di fronte come la lampada dei minatori.

Nonostante le sue forzature, bisogna proprio dargliene atto.





L'edizione da noi considerata è:



Gianna Manzini

La sparviera

Oscar Mondadori - 1968







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