RECENSIONI
Luisa Adorno
L'ultima provincia
Sellerio, Pag. 215 Euro 8,00
Saper dare voce alla nostalgia della nostalgia è un'operazione complicata e simile a quella di esser devoti e innamorati dell'amore, perché è questa una nostalgia nutrita da ricordi che saranno pure non nostri, ma coi quali siamo costretti a confrontarci fino a farli divenire dolorosamente veri e personali: questa nostalgia cade nel campo delle azioni più coraggiose e letterarie che si possano concepire.
Questa particolare declinazione della nostalgia fa da lega costituente a L'ultima provincia, il romanzo di un'epoca dove ancora si poteva essere nostalgici di un Paese che, forse, a dircela tutta, non c'è mai stato.
Così, in questo che può sembrare soltanto un gioco fatto di lettere e divagazioni sentimentali, siamo in grado al contempo di vergognarci e ridere di gusto del nostro Paese rileggendo L'ultima provincia di Luisa Adorno. Questa "ultima provincia" della scrittrice fiorentina non è l'Italia, ma un paesino centro meridionale nel secondo dopoguerra, eppure potrebbe benissimo essere la descrizione del Bel Paese, così come ultima è stata la provincia del confino lucano di Levi in Cristo si è fermato a Eboli o Cividale nel Friuli di Piero Chiara in Vedrò Singapore. L'ultima provincia del resto, potrebbe perfino essere la Roma di Un borghese piccolo piccolo o ancora di Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana.
L'ultima provincia, in fin dei conti, sembra abitata da tutti gli italiani sempre divisi tra santità e superstizione, tra senso del dovere e vigliaccheria.
Nel piccolo romanzo, apparso per la prima volta nel 1983, viene ritratta, con ilare ma ferma condanna, un paese devoto a un dio minore, dove la deità spetta per prima alla burocrazia e successivamente alla tradizione. Un paese che è costretto al grottesco, specchiandosi nelle proprie brutture e idiosincrasie; eppure questo ritratto che potrebbe apparire implacabile non sarebbe mai stato possibile senza un sincero sentimento della scrittrice nei confronti di quello che andava con sarcasmo a descrivere: la sua famiglia acquisita, la famiglia siciliana del prefetto e della prefettessa, i suoi suoceri. Lui un tipo che Il 2 giugno...celebrò ufficialmente, con un breve discorso, la giovane Repubblica chiamandola più volte monarchia., e sua moglie che ha come unico scopo: la ricerca e la conservazione della salute. Una salute il cui godimento non era previsto. E ancora il loro figlio Cosimo e la domestica Concetta che durante la guerra non fu data in sposa ad un indiano (un negro).
La narratrice/personaggio, terminati i sogni di un'Italia diversa e della Resistenza antifascista, impara ad amare, suo malgrado, la famiglia prima e i siciliani poi, e lo fa capire attraverso una scrittura divertente ma soprattutto divertita, dove la risata, sempre bonaria e pregna di nostalgia è incapace di infierire, lasciando le necessarie stilettate all'inesauribile album di temi e situazioni. E così, insieme, il distacco e la complicità della Adorno ci guidano scena dopo scena in questa ultima provincia di cui possiamo sorridere e forse anche vergognarci, ma che resta pur sempre casa nostra.
di Massimiliano Di Mino
Questa particolare declinazione della nostalgia fa da lega costituente a L'ultima provincia, il romanzo di un'epoca dove ancora si poteva essere nostalgici di un Paese che, forse, a dircela tutta, non c'è mai stato.
Così, in questo che può sembrare soltanto un gioco fatto di lettere e divagazioni sentimentali, siamo in grado al contempo di vergognarci e ridere di gusto del nostro Paese rileggendo L'ultima provincia di Luisa Adorno. Questa "ultima provincia" della scrittrice fiorentina non è l'Italia, ma un paesino centro meridionale nel secondo dopoguerra, eppure potrebbe benissimo essere la descrizione del Bel Paese, così come ultima è stata la provincia del confino lucano di Levi in Cristo si è fermato a Eboli o Cividale nel Friuli di Piero Chiara in Vedrò Singapore. L'ultima provincia del resto, potrebbe perfino essere la Roma di Un borghese piccolo piccolo o ancora di Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana.
L'ultima provincia, in fin dei conti, sembra abitata da tutti gli italiani sempre divisi tra santità e superstizione, tra senso del dovere e vigliaccheria.
Nel piccolo romanzo, apparso per la prima volta nel 1983, viene ritratta, con ilare ma ferma condanna, un paese devoto a un dio minore, dove la deità spetta per prima alla burocrazia e successivamente alla tradizione. Un paese che è costretto al grottesco, specchiandosi nelle proprie brutture e idiosincrasie; eppure questo ritratto che potrebbe apparire implacabile non sarebbe mai stato possibile senza un sincero sentimento della scrittrice nei confronti di quello che andava con sarcasmo a descrivere: la sua famiglia acquisita, la famiglia siciliana del prefetto e della prefettessa, i suoi suoceri. Lui un tipo che Il 2 giugno...celebrò ufficialmente, con un breve discorso, la giovane Repubblica chiamandola più volte monarchia., e sua moglie che ha come unico scopo: la ricerca e la conservazione della salute. Una salute il cui godimento non era previsto. E ancora il loro figlio Cosimo e la domestica Concetta che durante la guerra non fu data in sposa ad un indiano (un negro).
La narratrice/personaggio, terminati i sogni di un'Italia diversa e della Resistenza antifascista, impara ad amare, suo malgrado, la famiglia prima e i siciliani poi, e lo fa capire attraverso una scrittura divertente ma soprattutto divertita, dove la risata, sempre bonaria e pregna di nostalgia è incapace di infierire, lasciando le necessarie stilettate all'inesauribile album di temi e situazioni. E così, insieme, il distacco e la complicità della Adorno ci guidano scena dopo scena in questa ultima provincia di cui possiamo sorridere e forse anche vergognarci, ma che resta pur sempre casa nostra.
di Massimiliano Di Mino
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