RECENSIONI
Aravind Adiga
L'ultimo uomo nella torre
Einaudi, Pag. 446 Euro 20,00
Chi cercasse un libro emblematico delle contraddizioni che dilaniano l'India ai giorni nostri, può trovarlo in questo romanzo. Antiche tradizioni coesistono con le icone della moda occidentale, il consumismo crescente si affianca al pensiero superstizioso senza modificarlo, e i grattacieli sorgono accanto alle baraccopoli, mentre antichi palazzi cadono in rovina. Intanto l'aria di Bombay (o Mumbai che dir si voglia) è sempre più irrespirabile.
Il Sud di Mumbai ha la Victoria Terminus e il e il municipio, ma anche i sobborghi, edificati più tardi, hanno il proprio stile gotico: perché ogni sera, intorno alle sei, sulle strade svettano colonne di idrobenzene e anidride solforosa, materassi volanti di protossido d'azoto si accoppiano fra loro, volute di cherosene incombusto, mescolato illegalmente al gasolio, si librano nell'aria ghignanti come gargolle, e il tutto è coronato da un grande tetto di monossido di carbonio. Nelle ore di punta questa cattedrale di polveri sottili incombe su ogni semaforo rosso, ogni ponte e ogni galleria.
Così Adiga, scrittore indiano che, dopo aver viaggiato per il mondo, ha scelto comunque di vivere a Bombay, fa la sua descrizione poetica e apocalittica. Non a caso: davvero la città che descrive sembra poetica e apocalittica nello stesso tempo.
La storia è una parabola amara che può essere letta a più livelli, da quello letterale a quello simbolico, senza che il senso cambi. In sostanza è una storia di speculazione edilizia, in cui lo scempio non sta tanto nei vecchi muri che vengono abbattuti per far posto al progetto di un ambizioso costruttore, quanto nei guasti che il miraggio del denaro produce in un tessuto sociale che fino a quel momento sembrava solido e collaudato. Un condominio in cui famiglie di diverse religioni vivono fianco a fianco in un clima di cordialità e reciproca collaborazione (e anche in una condivisione di idee curiosamente sincretica), si trasforma d'un tratto in un fragile eden minacciato dal serpente. Rapporti di antica data cominciano a scricchiolare e le vecchie regole, che erano tanto più solide per il fatto stesso di non essere mai state scritte, rischiano di essere violate per la prima volta.
Nei vecchi condomini la verità è una cosa comunitaria, un consenso d'opinione. In quarantotto anni, il Vishram Society aveva conservato dei ricordi su tutti coloro che ci avevano vissuto (...) Se li si sapeva leggere, i muri del Vishram erano coperti di impronte di mani. Quelle impronte erano permanenti, però non immutabili; il segno lasciato da una persona poteva essere alterato. Adesso Masterji percepiva che l'opinione su di lui impressa in quell'edificio – nella tinta scrostata e nei laterizi vecchi di quarantotto anni – stava cambiando. Mentre quella mutava, mutava anche qualcosa all'interno del suo corpo.
Nella rete di persuasione ordita dal costruttore per vincere la riluttanza dei condomini ad abbandonare la casa, sembra che ognuno abbia un suo prezzo, che può materializzarsi sotto forma di denaro, paura, o progetti da realizzare. Ma il vecchio Marsterji, insegnante in pensione che vive da solo ricordando la moglie morta da poco e una figlia scomparsa tragicamente, si impegna senza risparmio in una battaglia contro tutti, animato semplicemente dalla fede nella libertà e nella giustizia. E' un percorso tragico che lo costringe a guardare in una luce diversa i vicini, gli amici, il suo stesso figlio, e perfino i ricordi più cari.
La scrittura di Adiga fonde la crudezza dei fatti con la poesia delle immagini, e piega la fantasia del linguaggio al servizio di una visione lucidissima della realtà. Nell'analizzare il lento processo di cambiamento collettivo che è l'oggetto della storia, entra nella psicologia di tutti i personaggi, compreso il costruttore che appare a tratti come una vittima del suo stesso ruolo. Un romanzo corale, in cui il disegno generale non prescinde mai dalla cura dei dettagli.
di Giovanna Repetto
Il Sud di Mumbai ha la Victoria Terminus e il e il municipio, ma anche i sobborghi, edificati più tardi, hanno il proprio stile gotico: perché ogni sera, intorno alle sei, sulle strade svettano colonne di idrobenzene e anidride solforosa, materassi volanti di protossido d'azoto si accoppiano fra loro, volute di cherosene incombusto, mescolato illegalmente al gasolio, si librano nell'aria ghignanti come gargolle, e il tutto è coronato da un grande tetto di monossido di carbonio. Nelle ore di punta questa cattedrale di polveri sottili incombe su ogni semaforo rosso, ogni ponte e ogni galleria.
Così Adiga, scrittore indiano che, dopo aver viaggiato per il mondo, ha scelto comunque di vivere a Bombay, fa la sua descrizione poetica e apocalittica. Non a caso: davvero la città che descrive sembra poetica e apocalittica nello stesso tempo.
La storia è una parabola amara che può essere letta a più livelli, da quello letterale a quello simbolico, senza che il senso cambi. In sostanza è una storia di speculazione edilizia, in cui lo scempio non sta tanto nei vecchi muri che vengono abbattuti per far posto al progetto di un ambizioso costruttore, quanto nei guasti che il miraggio del denaro produce in un tessuto sociale che fino a quel momento sembrava solido e collaudato. Un condominio in cui famiglie di diverse religioni vivono fianco a fianco in un clima di cordialità e reciproca collaborazione (e anche in una condivisione di idee curiosamente sincretica), si trasforma d'un tratto in un fragile eden minacciato dal serpente. Rapporti di antica data cominciano a scricchiolare e le vecchie regole, che erano tanto più solide per il fatto stesso di non essere mai state scritte, rischiano di essere violate per la prima volta.
Nei vecchi condomini la verità è una cosa comunitaria, un consenso d'opinione. In quarantotto anni, il Vishram Society aveva conservato dei ricordi su tutti coloro che ci avevano vissuto (...) Se li si sapeva leggere, i muri del Vishram erano coperti di impronte di mani. Quelle impronte erano permanenti, però non immutabili; il segno lasciato da una persona poteva essere alterato. Adesso Masterji percepiva che l'opinione su di lui impressa in quell'edificio – nella tinta scrostata e nei laterizi vecchi di quarantotto anni – stava cambiando. Mentre quella mutava, mutava anche qualcosa all'interno del suo corpo.
Nella rete di persuasione ordita dal costruttore per vincere la riluttanza dei condomini ad abbandonare la casa, sembra che ognuno abbia un suo prezzo, che può materializzarsi sotto forma di denaro, paura, o progetti da realizzare. Ma il vecchio Marsterji, insegnante in pensione che vive da solo ricordando la moglie morta da poco e una figlia scomparsa tragicamente, si impegna senza risparmio in una battaglia contro tutti, animato semplicemente dalla fede nella libertà e nella giustizia. E' un percorso tragico che lo costringe a guardare in una luce diversa i vicini, gli amici, il suo stesso figlio, e perfino i ricordi più cari.
La scrittura di Adiga fonde la crudezza dei fatti con la poesia delle immagini, e piega la fantasia del linguaggio al servizio di una visione lucidissima della realtà. Nell'analizzare il lento processo di cambiamento collettivo che è l'oggetto della storia, entra nella psicologia di tutti i personaggi, compreso il costruttore che appare a tratti come una vittima del suo stesso ruolo. Un romanzo corale, in cui il disegno generale non prescinde mai dalla cura dei dettagli.
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