RECENSIONI
Rochus Misch
L'ultimo
Castelvecchi, Pag. 233 Euro 16.00
Dal punto di vista storico questo libro non ha nessun valore. Intendiamoci, sapere da Rochus Misch, uno delle guardie del corpo di Hitler nel bunker di Berlino, come abbia trascorso le ultime ore il dittatore sanguinario può anche interessare, ma non aggiunge nulla di pregnante alle conoscenze fin qui acquisite sul nazismo e sulla sua "presa" (fascino come disse anni fa Mario Pirani) tra la popolazione.
Quel che va invece sottolineato, e che Hannah Arendt affrontò in modo convincente ed esaustivo ne La banalità del male, è la tematica della responsabilità personale. Eichmann, durante il processo svoltosi a Gerusalemme, più volte disse di essere stato un semplice "servitore" della patria e che doveva sottostare ad ordini superiori. Storiellina più volte sentita: Padre Feletti, uno degli artefici del rapimento Mortara (il bambino ebreo, rapito e battezzato cattolicamente e per questo mai restituito ai genitori) di fronte ad un tribunale civile che gli chiedeva il perché della sua azione, rispondeva d'essere stato semplice esecutore di disposizioni venute dall'alto. Centoventi anni dopo, Priebke, ad una domanda simile, avrebbe risposto allo stesso modo.
Davvero esiste, come appunto ebbe modo di sottolineare efficacemente la Arendt, la banalità del male? Cioè quella "apparente" predisposizione di alcuni individui a non elaborare alcuna resistenza critica ed acriticamente accettare quel che viene anche di fronte ad inenarrabili delitti contro l'umanità?
Teddy Wilsh chiamò la Cancelleria per avvertirli che aveva trovato l'uomo adatto, un soldato che non avrebbe creato problemi. Ecco dunque chi è Rochus Misch: prima un semplice attendente, poi vera e propria presenza fissa nell'entourage hitleriano, con mansioni anche da tuttofare (centralinista nelle ultime ore prima del suicidio di Hitler e di alcune personalità rilevanti della struttura di comando del Reich). Ma soprattutto un uomo che non avrebbe creato problemi. Perché probabilmente (rimane in sostanza il dubbio) problemi non se ne faceva.
Dice Pier Carlo Bontempelli nell'introduzione: Tra le «non-qualità» del personaggio, va anche ricordato che non fu mai iscritto al Partito Nazionalsocialista, né pensò mai di farlo. Peraltro egli non fa cenno nemmeno della sua iscrizione al corpo delle SS.
Eppure, quando il libro è uscito, scalpore ne ha fatto: non capiamo perché. La testimonianza dell'uomo, lo abbiamo già detto, non toglie e non aggiunge nulla alla comprensione del "fenomeno" nazista. Siamo di fronte solo ad un "soldato" che continua ad avere una discreta considerazione di Hitler (...era il mio capo e quando sono stato al suo servizio non ho voluto vedere né sapere. Credevo in lui, e lui si è sempre comportato bene con me.)
Dire "non ho voluto vedere né sapere" (tra l'altro, sulla questione della soluzione finale ai danni degli Ebrei, Misch cita solo l'episodio di un dispaccio capitatogli tra le mani e che accennava alla questione dello sterminio) ha già una sua valenza e presuppone una responsabilità morale.
Eichmann al processo di Gerusalemme si difese dicendo che non aveva mai odiato gli ebrei, non aveva tanto più voluto la soppressione e che la sua unica (sic!) virtù era stata quella di obbedire ciecamente al comando e per questo i nazisti se ne erano approfittati.
Misch, che non si è dovuto mai difendere da accuse di fronte ad un tribunale, ed ora vive, novantenne, a Berlino, essendo, ancor di più, testimonianza di un'adesione critica allo status quo, non cerca nemmeno giustificazioni.
Ribadisce con "onestà" la sua posizione e si permette di dire con assoluta schiettezza: Da quando è uscito il film La caduta di Bernd Eichinger è stato un viavai: televisioni, giornali, quotidiani, prima di Berlino poi del mondo intero, sono venuti a bussare alla mia porta. Ma quel film è un'operetta. Tutto quello che viene rappresentato è esagerato. Non c'erano feste in quel minuscolo Führerbunker, né orge di champagne come si è visto sugli schermi.
Dunque la faccia "normale" del potere. E la sua banalità. Agghiacciante (sta a voi lettori decidere se l'aggettivo è riferito al libro o alla banalità del potere appunto).
di Alfredo Ronci
Quel che va invece sottolineato, e che Hannah Arendt affrontò in modo convincente ed esaustivo ne La banalità del male, è la tematica della responsabilità personale. Eichmann, durante il processo svoltosi a Gerusalemme, più volte disse di essere stato un semplice "servitore" della patria e che doveva sottostare ad ordini superiori. Storiellina più volte sentita: Padre Feletti, uno degli artefici del rapimento Mortara (il bambino ebreo, rapito e battezzato cattolicamente e per questo mai restituito ai genitori) di fronte ad un tribunale civile che gli chiedeva il perché della sua azione, rispondeva d'essere stato semplice esecutore di disposizioni venute dall'alto. Centoventi anni dopo, Priebke, ad una domanda simile, avrebbe risposto allo stesso modo.
Davvero esiste, come appunto ebbe modo di sottolineare efficacemente la Arendt, la banalità del male? Cioè quella "apparente" predisposizione di alcuni individui a non elaborare alcuna resistenza critica ed acriticamente accettare quel che viene anche di fronte ad inenarrabili delitti contro l'umanità?
Teddy Wilsh chiamò la Cancelleria per avvertirli che aveva trovato l'uomo adatto, un soldato che non avrebbe creato problemi. Ecco dunque chi è Rochus Misch: prima un semplice attendente, poi vera e propria presenza fissa nell'entourage hitleriano, con mansioni anche da tuttofare (centralinista nelle ultime ore prima del suicidio di Hitler e di alcune personalità rilevanti della struttura di comando del Reich). Ma soprattutto un uomo che non avrebbe creato problemi. Perché probabilmente (rimane in sostanza il dubbio) problemi non se ne faceva.
Dice Pier Carlo Bontempelli nell'introduzione: Tra le «non-qualità» del personaggio, va anche ricordato che non fu mai iscritto al Partito Nazionalsocialista, né pensò mai di farlo. Peraltro egli non fa cenno nemmeno della sua iscrizione al corpo delle SS.
Eppure, quando il libro è uscito, scalpore ne ha fatto: non capiamo perché. La testimonianza dell'uomo, lo abbiamo già detto, non toglie e non aggiunge nulla alla comprensione del "fenomeno" nazista. Siamo di fronte solo ad un "soldato" che continua ad avere una discreta considerazione di Hitler (...era il mio capo e quando sono stato al suo servizio non ho voluto vedere né sapere. Credevo in lui, e lui si è sempre comportato bene con me.)
Dire "non ho voluto vedere né sapere" (tra l'altro, sulla questione della soluzione finale ai danni degli Ebrei, Misch cita solo l'episodio di un dispaccio capitatogli tra le mani e che accennava alla questione dello sterminio) ha già una sua valenza e presuppone una responsabilità morale.
Eichmann al processo di Gerusalemme si difese dicendo che non aveva mai odiato gli ebrei, non aveva tanto più voluto la soppressione e che la sua unica (sic!) virtù era stata quella di obbedire ciecamente al comando e per questo i nazisti se ne erano approfittati.
Misch, che non si è dovuto mai difendere da accuse di fronte ad un tribunale, ed ora vive, novantenne, a Berlino, essendo, ancor di più, testimonianza di un'adesione critica allo status quo, non cerca nemmeno giustificazioni.
Ribadisce con "onestà" la sua posizione e si permette di dire con assoluta schiettezza: Da quando è uscito il film La caduta di Bernd Eichinger è stato un viavai: televisioni, giornali, quotidiani, prima di Berlino poi del mondo intero, sono venuti a bussare alla mia porta. Ma quel film è un'operetta. Tutto quello che viene rappresentato è esagerato. Non c'erano feste in quel minuscolo Führerbunker, né orge di champagne come si è visto sugli schermi.
Dunque la faccia "normale" del potere. E la sua banalità. Agghiacciante (sta a voi lettori decidere se l'aggettivo è riferito al libro o alla banalità del potere appunto).
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