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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Giulia Abbate

La cospirazione dell'inquisitore

Leggereditore, Pag. 388 Euro 16,00
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Che si può dire, di un romanzo così classico e così perfetto nel suo genere? Che c’è da aggiungere? Si può cercare il pelo nell’uovo, e magari trovarlo nel titolo. Troppo sensazionalistico, troppo scoperto nella ricerca del facile effetto. Mi pare che faccia torto alla raffinatezza del romanzo, così sorvegliato nella scelta del linguaggio e nell’equilibrio della narrazione. Anche la copertina, che pure attrae con i suoi toni di rosso cupo, mi sembra troppo cinematografica. Per quanto riguarda il resto, confesso di averne subìto il fascino. Sarà che lo schema di base è molto classico, addirittura ancestrale. È quello della Bella e la Bestia, ma anche di Amore e Psiche, se vogliamo risalire all’antico. In tempi più recenti c’erano le storie di Angelica scritte dai coniugi Golon, e tutto un filone di romanzi il cui protagonista bello e tenebroso faceva sospirare le fanciulle. Anche quello di Giulia Abbate, come è esplicitato in copertina, si inserisce nel genere romance (e questo spiega copertina e titolo) e però gli vanno riconosciute le caratteristiche di un romanzo storico. Non si può negare infatti l’accuratezza della ricostruzione storica e ambientale per fatti che si svolgono nel XIV secolo. I personaggi dotti, ad esempio, sono spesso colti nell’atto di disquisire con verosimiglianza di questioni teologiche e giuridiche appropriate ai tempi.
   Uno schema classico, dicevo, in cui una donna inerme ma piena di coraggio sfida soprusi e pericoli e finisce per innamorarsi del personaggio che in principio sembrava il più temibile. Questa volta però l’autrice ha alzato parecchio l’asticella della sfida. Il personaggio in questione infatti non è uno sceicco o un bandito, né un presunto mostro. Si tratta di un inquisitore domenicano, proprio quel tipo di individuo che in romanzi come Il nome della rosa di Umberto Eco (i tempi sono quelli) fa tremare i polsi. Qui tocca lavorare di fino, lettori compresi, perché l’avversione verso l’inquisitore l’abbiamo bevuta col latte fin da piccoli. Eppure scatta la macchina della fascinazione, per la giovane e nobile vedova Elisa e anche per noi che leggiamo. Il racconto avvince e per questo convince, per quanto si tenti di distaccarsene per domandarsi ogni tanto se sia credibile un amore così insolito. Ma possiamo rassicurarci: il Medioevo ne è pieno.
   Delle quasi quattrocento pagine non si avverte il peso. Scorrono che è una bellezza, così come va giù piacevolmente una pietanza i cui ingredienti siano stati ben dosati. Questo ha fatto l’autrice, calibrando perfettamente le giuste dosi di avventura, mistero, sesso e sentimento. E (già che ormai sono intrappolata nella metafora gastronomica) cucinando il tutto con il condimento di uno stile impeccabile e ricco, e con dialoghi ben speziati. I caratteri di tutti i personaggi, anche minori, sono tratteggiati con cura. I due protagonisti offrono un alto grado di complessità, necessariamente legato al perenne conflitto fra religione e natura, regole e impulsi. Ma anche altri personaggi balzano in evidenza, come la piccola Matilde, figlia di Elisa, e i componenti della servitù che animano le cucine e i corridoi vivacizzando l’atmosfera del castello. Tornando sui protagonisti, va detto che Elisa è la più credibile, con un buona integrazione degli aspetti opposti: audacia e prudenza, spirito di indipendenza e adesione alle regole. Un po’ più azzardata mi pare la miscela che forma la personalità di Riccardo, l’inquisitore, in cui è certamente difficile far stare insieme istanze molto diverse, di cui la trasgressione sessuale è solo un aspetto (ma l’asticella è davvero alta, dicevo). Interviene, a favore della credibilità, il fatto che il domenicano è un ex cavaliere e uomo d’armi, e quindi non proprio un virgulto da convento.
   Il coinvolgimento del lettore è facilitato dalla continua attenzione ai dettagli della vita quotidiana, che lo rendono partecipe di tutti i piccoli rituali relativi al cibo, al vestiario e alla cura personale. E se spesso i personaggi sono ritratti nell’atto di lavarsi, sia pure con i loro mezzi medievali, questo non dipende da una anacronistica concessione ai nostri gusti, ma da uno studio non superficiale che sfronda il Medioevo (quello almeno delle classi agiate) dalla crosta dei facili pregiudizi.  

di Giovanna Repetto


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