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CLASSICI

Alfredo Ronci

La realtà che mangia se stessa: 'Il serpente' di Luigi Malerba

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Riflettendo sulla storia 'recente' bisogna dire che il nostro romanzo, nonostante una certa coerenza di fondo, ha sempre subìto scossoni di un certo rilievo: già a fine ottocento Vittorio Imbriani certificò , soprattutto con Dio ne scampi dagli Orsenigo, una certa insofferenza, attraverso la parodizzazione, per il melenso sentimentalismo di quei tempi. E che dire di Bontempelli, degli stessi futuristi e per altre 'sponde' la tentazione neorealista, che scardinava anche il dannunzianesimo, di Eurialo De Michelis?

Negli anni cinquanta arrivò Antonio Pizzuto a destrutturare la letteratura, e poi ancora il Gruppo 63: mi rimane un dubbio sull'efficacia 'rivoluzionaria' dell'attuale narrativa che, se ha mostrato segni di risveglio negli anni ottanta, mi sembra dormiente e poco senziente in questo primo scorcio di secolo nuovo.

Nonostante sia lecito dire che un'opera d'arte è tale anche al di fuori dei suoi tempi, Il serpente, di Luigi Malerba, va contestualizzato: ma rimane opera dissacrante e per certi versi sperimentale, quindi da annoverare tra i tentativi di marcare una distanza 'sentita' con la prosa di quegli anni.

Che sono della metà dei sessanta (per la precisione 1966) e che anticipano le frenesie e le passioni del sessantotto: ci si avvia dunque in una situazione in cui l'incomunicabilità, la difficoltà a relazionarsi, la alienazione (il disordine?) sono elementi costitutivi di un'intera generazione. E Malerba che nel '66 ha trentanove anni, quindi età di maggiore riflessione, di capacità di confronto, coglie la smania del periodo e le sue tentazioni.

Perché Il serpente è romanzo anti-romanzo, è espressione di realtà che fagocita se stessa nel tentativo non di ridefinirsi, ma di annullarsi (Eppure non era successo niente, non stava succedendo niente. Mi rendevo conto che il niente può essere frenetico e forse questo è il niente peggiore che ci sia.). Il serpente è romanzo alienante.

Il protagonista, un commerciante di francobolli che ha un negozio in via Arenula, a Roma, vive una vita relativamente tranquilla anche se agli occhi degli altri è elemento bizzarro (frequenta un corso di canto, ma esaspera il suo maestro nel proporgli la teoria del canto mentale, una sorta di canto non 'emesso, ma tutto di 'testa'), finché non incontra Miriam che in breve tempo diventa la sua ragazza. Ma il rapporto con la fidanzata è destinato a deteriorarsi a causa della gelosia del protagonista: costui la costringe persino ad una radiografia nella speranza di cogliere in essa tracce di eventuali tentazioni 'cornificanti'. Tale parossismo è prodromo del delitto, dell'eliminazione fisica della giovane.

Ma è proprio il 'presunto' delitto a determinare una frattura: possiamo pensarla narrativa, possiamo pensarla metafisica. L'indagine scaturita dalla stessa denuncia dell'omicida porterà ad evidenziare non solo l'assoluta inesistenza dell'azione delinquenziale, ma addirittura del corpo della vittima e di conseguenza dell'esistenza stessa di una fidanzata.

Dunque all'improvviso la realtà si frantuma, come un specchio: quello che fino ad un minuto prima è la storia di un'ossessione, si 'riduce' al compimento di una mitomania.

La comicità surreale del Malerba accentua una sensazione di malessere del lettore che si ritrova tra le mani una dimensione straniante: l'autore non vuole negare la realtà, ma suggerisce che non si sa più come e dove cercarla.

Dice il protagonista ormai impazzito: Mi rifiuto di discutere su questo argomento, ormai è un argomento chiuso. Adesso basta, la storia è finita. Ma non so nemmeno se è proprio una storia. (Walter Siti nel suo ultimo romanzo Autopsia dell'ossessione scrive: per questo l'ossessione, pur essendo una storia, è il contrario del romanzo.

Per vie diverse i due scrittori sembrano giunti alla stessa conclusione: ma dietro Malerba vi è la forza, la spinta della controcultura. Il decennio è infuocato, mostra segni di un'irrequietezza da un certo punto di vista essenziale e necessaria, dall'altro anticipatrice di sviluppi assai poco controllabili.

Ne Il serpente la comicità è inevitabilmente la faccia opposta della tragedia: che pare incombere. Nel politico e nel personale. Chi ci dice che la mitomania del protagonista non sia traccia indelebile di una violenza in fieri (e non soltanto immaginata?).



L'edizione da noi considerata è:



Luigi Malerba

Il serpente

Bompiani, 1966







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