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Il Paradiso degli Orchi
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CLASSICI

Alfredo Ronci

La religione della Madre: “A.” di Giovanni Mariotti.

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Una cosa bisogna dirla, e pure in fretta: si è sempre parlato troppo poco di Giovanni Mariotti, e quel che è stato detto non è stato mai sufficiente per innalzarlo alle vestigia più prestigiose della letteratura natia. Che detto così potrebbe sembrare una bestemmia.
Di Mariotti Il paradiso degli orchi ha recentemente presentato la ripubblicazione di Storia di Matilde che Piero Citati definì il miglior romanzo italiano degli ultimi vent’anni (io farei di più… diciamo cinquanta) e noi, nel nostro piccolo, presentammo come storia (per i più coraggiosi: noi non protestiamo, perché seppure siamo di fronte ad un grande romanziere, il fatto che il libro sia stato scritto di seguito e senza una virgola o un punto – leggi così: proprio senza una virgola o un punto – può dare fastidio ai lettori meno pronti ed assidui) che ha la stoffa della narrazione perfetta ed inquieta allo stesso tempo.
Ma quello che ci preme sottolineare è che Mariotti vinse la seconda edizione del nostro concorso letterario con L’amore lungo, vicenda quasi inconfessabile di amore e dedizione. E che ci riempì di gioia quando accettò anche il nostro pur misero regalo.
A., romanzo anch’esso di amore e dedizione, fu scritto nel 1974, quando Mariotti aveva 38 anni, e secondo l’autore stesso costituiva una sorta di contributo alla collana letteraria La biblioteca blu, da lui curata e che presentava classicissimi della nostra e altrui letteratura, ma specificando che A questo testo, che sarebbe soperchieria chiamare romanzo o racconto, l’autore non attribuisce alcun valore letterario; ne ama tuttavia il tema, e pensa che possa aver eco in più di un lettore.
Per un attimo lasciamo perdere il lettore (lo riprenderemo appena più tardi): quello che ci interessa descrivere è appunto il tema dello scritto (così sarebbe piaciuto di più a Mariotti): la figura della madre, o meglio ancora, la Religione della Madre, che è oggi… forse, l’oscuro, confuso, vergognoso sogno di molti.
Una madre raccolta a tratti, ma che consegna, senza alcun dubbio, l’inconcepibile e anche la materia al lettore più esigente. Scrive l’autore: Ricordo A. le cui mani sembravano secernere la trama dei tappeti; l’allargarsi e i ripiegarsi del braccio di una vecchia che filava quand’ero bambino… Riflettendo a simili spettacoli, mi par di capire perché gli antichi avessero attribuito a divinità femminili il compito di svolgere e recidere la vita degli uomini.
Nell’introduzione al romanzo Mariotti sembra voler presentare un’idea della madre che sembra mille chilometri lontana dall’idea standard. Sembra voler accontentare il lettore più intransigente (e anche un pochino folle?) sul perché il corpo può essere, in tutte le sue componenti “assunto a parola rivolta agli altri, a espressione di comunicazione ed accoglienza”.
In  realtà Mariotti è assertore di un classicismo a volte anche esasperato (ma non c’è traccia di noia nei suoi componimenti) e non è un caso che cercando di chiudere il discorso sulla madre e sul perché avesse scritto una storia che non è romanzo né racconto, pone al di sopra di tutto  le fonti del suo libretto: Rousseau prima di tutto, poi Fourier e infine Hegel (grande corruttore).
Sicuramente è così, ma nel tratteggio delle sue componenti, Mariotti ci restituisce una forma della madre che è millenariamente  pre-costituita: Ho dimenticato le fiabe che mia madre raccontava, e le variazioni che vi introduceva, ma una cosa non ho potuto dimenticare: la voce di lei mentre narra.
Oppure: Aggrottava le ciglia e rispondeva: “per me”, con il tono scontento di una madre angustiata da figli troppo egoisti. Ma quel corruccio era cosa di un attimo. Si girava verso di noi, per mostrarsi.
Per quanto  riguarda i lettori, Mariotti è troppo gentile e a volte conforme: quelli del 1974 (anno del romanzo o quello che sia) non sono e non potranno mai  essere quelli di oggi o di qualsiasi altro periodo storico. Quando parla di loro sembra voler retrocedere di un millennio: A chi potrà piacere A.? Forse a qualche hippy, a qualche femminista eretica… Mi piace anche immaginare che, a un futuro esploratore di biblioteche, A. possa apparire come lo sbiadito presagio di pensieri, valori e teofanie familiari.
Perché pensare A. come uno sbiadito presagio di pensieri? Semmai un raccolto di azioni e sentimenti che interessano  il genere umano, non una sua parte ormai scolorata e persa.

L’edizione da noi considerata è:

Giovanni Mariotti
A.
La biblioteca blu



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