RECENSIONI
Philippe Doumenc
Lo strano caso di Emma Bovary
Castelvecchi, Pag. 202 Euro 16,50
Le pulsioni di una classe sociale senza apparenti legami col passato, una classe giovane, come poteva esserlo la borghesia nella lontana metà del diciannovesimo secolo, affascinarono molti scrittori dell'epoca. Ma forse quello che più di tutti seppe rendere con indiscutibile fascino le pruderie erotiche di una nuova frangia risvegliata dal torpore della quotidianità fu Gustave Flaubert, con la sua decaduta e decadente eroina, Emma Bovary, divenuta talmente celebre da prestare il nome ad una sindrome, quella nominata di Madame Bovary, che descrive con estrema efficacia i turbamenti che la noia suscita nei cuori delle giovani donne costrette ad una vita monotona e desiderose di fuga.
Emma fu fuorviata dalle letture popolari, che le riempirono la testa di romantici sogni d'amore, ma si scottò alla luce della stessa lampada che le aveva rishiarato gli ultimi mesi di un'esistenza piatta. Comprensibile che di fronte a cotanta trama l'estro degli scrittori non resti impassibile. È quanto è successo a Philippe Doumenc, autore curioso di indagare nei retroscena immaginari di un delitto che si intese nascondere, quello della giovane Emma Bovary, nata Rouault. Il nostro mette su per i tipi di Castelvecchi un giallo avvincente perchè imperniato su uno dei più appassionanti casi letterari di tutti i tempi.
Così mentre si ripercorrono le sfortunate avventure di una fanciulla troppo bella e sognatrice, si disamina nuovamente la società che già Flaubert criticò: una borghesia giovane ma già malata di profonda ipocrisia. Anche se la mano che versa l'arsenico non ha proprietario,essa si capisce armata da più inconsapevoli personaggi, colpevoli di scarsa sensibilità nel migliore dei casi e di perfidia preterintenzionale nei peggiori. L'eroina poco eroica abbandonata a sé stessa è un fuscello che la minima folata di vento porta via. La sua colpa è tutta in una fervida immaginazione che non le fa vedere il lato malvagio degli esseri che la circondano. Ciò che Doumenc fa, è proprio gettare un fascio di luce su svariati non-protagonisti che l'artificio letterario vuole di proposito in secondo piano nell'opera flaubertiana.
Si accendono così i riflettori sullo strozzino Lheraux, sul dandy cinico Rodolphe Boulanger, sul superbo studente Leon Dupuis, sull'arrabbiata Madame Homais e sul suo complice e fedifrago marito, sull'ignavo Charles Bovary e su tutta una serie di personaggi minori tratteggiati con pennellate che ne evidenziano i lati psicologicamente più disturbati.
Doumenc allarga ancora di più lo spioncino attraverso il quale Flaubert ci accompagnava a spiare guardinghi la trafelata corsa all'amore e ai vani sogni di ricchezza e lusso di Emma. Lo fa rendendo avvincente ogni singola pagina, rendendo credibile ogni dialogo e condendo il tutto con una sana suspance che ci tiene incollati, di nuovo, al capezzale della giovane Bovary. Tra missive segrete, ampolle misteriosamente svuotate, insabbiamenti dei piani alti, astuzie meschine e subdoli depistaggi, fra inesperti poliziotti di provincia, abili funzionari pronti a tutto, vecchi investigatori messi a tacere e squallide gelosie di ogni tipo.
di Enrica Murru
Emma fu fuorviata dalle letture popolari, che le riempirono la testa di romantici sogni d'amore, ma si scottò alla luce della stessa lampada che le aveva rishiarato gli ultimi mesi di un'esistenza piatta. Comprensibile che di fronte a cotanta trama l'estro degli scrittori non resti impassibile. È quanto è successo a Philippe Doumenc, autore curioso di indagare nei retroscena immaginari di un delitto che si intese nascondere, quello della giovane Emma Bovary, nata Rouault. Il nostro mette su per i tipi di Castelvecchi un giallo avvincente perchè imperniato su uno dei più appassionanti casi letterari di tutti i tempi.
Così mentre si ripercorrono le sfortunate avventure di una fanciulla troppo bella e sognatrice, si disamina nuovamente la società che già Flaubert criticò: una borghesia giovane ma già malata di profonda ipocrisia. Anche se la mano che versa l'arsenico non ha proprietario,essa si capisce armata da più inconsapevoli personaggi, colpevoli di scarsa sensibilità nel migliore dei casi e di perfidia preterintenzionale nei peggiori. L'eroina poco eroica abbandonata a sé stessa è un fuscello che la minima folata di vento porta via. La sua colpa è tutta in una fervida immaginazione che non le fa vedere il lato malvagio degli esseri che la circondano. Ciò che Doumenc fa, è proprio gettare un fascio di luce su svariati non-protagonisti che l'artificio letterario vuole di proposito in secondo piano nell'opera flaubertiana.
Si accendono così i riflettori sullo strozzino Lheraux, sul dandy cinico Rodolphe Boulanger, sul superbo studente Leon Dupuis, sull'arrabbiata Madame Homais e sul suo complice e fedifrago marito, sull'ignavo Charles Bovary e su tutta una serie di personaggi minori tratteggiati con pennellate che ne evidenziano i lati psicologicamente più disturbati.
Doumenc allarga ancora di più lo spioncino attraverso il quale Flaubert ci accompagnava a spiare guardinghi la trafelata corsa all'amore e ai vani sogni di ricchezza e lusso di Emma. Lo fa rendendo avvincente ogni singola pagina, rendendo credibile ogni dialogo e condendo il tutto con una sana suspance che ci tiene incollati, di nuovo, al capezzale della giovane Bovary. Tra missive segrete, ampolle misteriosamente svuotate, insabbiamenti dei piani alti, astuzie meschine e subdoli depistaggi, fra inesperti poliziotti di provincia, abili funzionari pronti a tutto, vecchi investigatori messi a tacere e squallide gelosie di ogni tipo.
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