RECENSIONI
Luigi Bernardi
Niente da capire
Perdisapop, Pag. 141 Euro 10,00
Non gli interessa il gioco letterario intorno all'omicidio a Luigi Bernardi. Non gli interessano le macchine narrative costruite sul crimine, non gli interessa l'enigmistica applicata alla letteratura. Non a caso in epigrafe cita il Dürrenmatt de La Promessa "Un fatto non può tornare come torna un conto".
Gli preme piuttosto vedere nel crimine un fatto esistenziale, spesso enigmatico, indecifrabile, e insieme dovuto a futilissimi motivi (o assurdo proprio per quello). Bernardi, più che all'indagine del giallo o alla complessa strutturazione di un'atmosfera che utilizzi il crimine per costruire personaggi più o meno inquieti o inquietanti com'è del noir, guarda alla cronaca nera recente per cogliere l'essenza dei puri fatti, rifiutando di almanaccarvi sopra. Gli interessa mostrare come possa intrecciarsi il mondo del crimine più disperato, abbandonato a se stesso, con la vita privata delle persone implicate sul versante della legge, qui la magistrata inquirente Antonia Monanni. E' una delle cose più belle del libro: una donna che ha molto da pensare ai fatti propri, che interpreta il proprio lavoro senza enfasi ma con attenzione. Di lei ci viene mostrato un volto direi umano molto umano. Monanni, signora non priva di fascino, non può essere una dark lady, va da sé. Né tuttavia viene raccontata con quel senso di complicità che nelle fiction televisive d'impronta poliziesca ci dà l'illusione di una vicinanza domestica con i protagonisti per concludere che i loro guai sono simili ai nostri – noi coccolati dalle mogli e loro, male che vada, dalle squadre di polizia. Monanni è una donna sola, i poliziotti non la possono soffrire (e lei li trova perlopiù ottusi, e non sopporta i romanzi gialli che seguono piste cervellotiche e inverosimili). Inoltre, non cerca facili consolazioni (come non le cerca l'autore), e soprattutto non ci lascia dormire tranquilli perché seppure tenuto a freno da una razionalità addestrata, da un controllo efficace sulle situazioni, il suo mondo emotivo, pulsionale - il corpo insomma, conosce la stessa inquieta vitalità dei responsabili del crimine: è il nostro, in sentenza.
Nelle piccole storie di Bernardi per brevi paragrafi alternati si mostra la scena del delitto e il tempo apparentemente "morto" della magistrata, quella della donna "privata". Ecco, v'è una sessualità pervasiva, per esempio, che li tiene insieme quei mondi; una sessualità che sembra agire per conto proprio, un fondo di odori, di puzze, di letti, di cucina – è lì che si gioca il respiro del libro, come se i corpi di vittime, carnefici e inquirenti costituissero il continuum del mondo raccontato, la pelle di tutti che è la sola conoscenza del mondo, insieme approccio a esso, tormento del desiderio e unica difesa. Inutile dire che non è fibra robusta, la pelle umana, non ce la fa a difenderci: questo la magistrata lo sa, cerca di non farsi ferire dalle storiacce tremende in cui si imbatte, dai balordi e dai pazzi che incontra (gente che ammazza perché "sente i fili" nel cervello o perché vuol vedere com'è dare una coltellata), ma sente che il sottilissimo strato di pelle che la separa da loro è niente.
La vita che si affaccia in queste tredici microstorie sembra la rappresentazione spietata di un rovesciamento hegeliano: "ciò che è reale è irrazionale" si potrebbe dire. Qui si ammazza per niente, per lo più mancano motivazioni "plausibili" ma non sono sviste o errori di sceneggiatura, quanto piuttosto gesti pazzeschi di poveri cristi, non per questo meno verosimili. La disperazione che li muove può essere più o meno fredda, più o meno soggetta a uno scatto d'ira, in ogni caso "non c'è niente da capire". La vita è questa. Il libro di Bernardi, per ora, è uno dei migliori del 2011.
di Michele Lupo
Gli preme piuttosto vedere nel crimine un fatto esistenziale, spesso enigmatico, indecifrabile, e insieme dovuto a futilissimi motivi (o assurdo proprio per quello). Bernardi, più che all'indagine del giallo o alla complessa strutturazione di un'atmosfera che utilizzi il crimine per costruire personaggi più o meno inquieti o inquietanti com'è del noir, guarda alla cronaca nera recente per cogliere l'essenza dei puri fatti, rifiutando di almanaccarvi sopra. Gli interessa mostrare come possa intrecciarsi il mondo del crimine più disperato, abbandonato a se stesso, con la vita privata delle persone implicate sul versante della legge, qui la magistrata inquirente Antonia Monanni. E' una delle cose più belle del libro: una donna che ha molto da pensare ai fatti propri, che interpreta il proprio lavoro senza enfasi ma con attenzione. Di lei ci viene mostrato un volto direi umano molto umano. Monanni, signora non priva di fascino, non può essere una dark lady, va da sé. Né tuttavia viene raccontata con quel senso di complicità che nelle fiction televisive d'impronta poliziesca ci dà l'illusione di una vicinanza domestica con i protagonisti per concludere che i loro guai sono simili ai nostri – noi coccolati dalle mogli e loro, male che vada, dalle squadre di polizia. Monanni è una donna sola, i poliziotti non la possono soffrire (e lei li trova perlopiù ottusi, e non sopporta i romanzi gialli che seguono piste cervellotiche e inverosimili). Inoltre, non cerca facili consolazioni (come non le cerca l'autore), e soprattutto non ci lascia dormire tranquilli perché seppure tenuto a freno da una razionalità addestrata, da un controllo efficace sulle situazioni, il suo mondo emotivo, pulsionale - il corpo insomma, conosce la stessa inquieta vitalità dei responsabili del crimine: è il nostro, in sentenza.
Nelle piccole storie di Bernardi per brevi paragrafi alternati si mostra la scena del delitto e il tempo apparentemente "morto" della magistrata, quella della donna "privata". Ecco, v'è una sessualità pervasiva, per esempio, che li tiene insieme quei mondi; una sessualità che sembra agire per conto proprio, un fondo di odori, di puzze, di letti, di cucina – è lì che si gioca il respiro del libro, come se i corpi di vittime, carnefici e inquirenti costituissero il continuum del mondo raccontato, la pelle di tutti che è la sola conoscenza del mondo, insieme approccio a esso, tormento del desiderio e unica difesa. Inutile dire che non è fibra robusta, la pelle umana, non ce la fa a difenderci: questo la magistrata lo sa, cerca di non farsi ferire dalle storiacce tremende in cui si imbatte, dai balordi e dai pazzi che incontra (gente che ammazza perché "sente i fili" nel cervello o perché vuol vedere com'è dare una coltellata), ma sente che il sottilissimo strato di pelle che la separa da loro è niente.
La vita che si affaccia in queste tredici microstorie sembra la rappresentazione spietata di un rovesciamento hegeliano: "ciò che è reale è irrazionale" si potrebbe dire. Qui si ammazza per niente, per lo più mancano motivazioni "plausibili" ma non sono sviste o errori di sceneggiatura, quanto piuttosto gesti pazzeschi di poveri cristi, non per questo meno verosimili. La disperazione che li muove può essere più o meno fredda, più o meno soggetta a uno scatto d'ira, in ogni caso "non c'è niente da capire". La vita è questa. Il libro di Bernardi, per ora, è uno dei migliori del 2011.
di Michele Lupo
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Perdisapop, Pag.173 Euro 14,00Chi soffre di claustrofobia non legga questo romanzo. L'inquietudine che nasce da queste righe non è di natura psicologica, ma da una situazione effettivamente oggettiva: la mancanza di corrente elettrica. Il mondo dunque si rimpiccolisce: non solo, è ancora più piccolo dal momento che la dimensione 'normale' è comunque limitata. Siamo in un paesino dell'hinterland bolognese e le autorità hanno tolto la luce a tutti i locali per tentare di isolare un pazzo che da un'abitazione ha cominciato a sparare e ha già ucciso alcune persone.
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