RECENSIONI
Massimo Teodori
Pannunzio
Mondadori, Pag.278 Euro 19,00
Da ragazzo, ai tempi dell'Università, ho avuto modo di frequentare i tavoli dei radicali, tutti impegnati nell'ossessiva, e col senno di poi fallimentare, raccolta di firme per i referendum. Tra i militanti vi era un elemento in comune: l'anticomunismo. Scontata l'avversione per la cultura di destra, i figliocci dell'allora tonitruante Pannella, sembravano l'estremo baluardo contro il possibile abbeveraggio dei Cosacchi a San Pietro. Erano gli ultimi rimasugli di una stagione sanguigna e di contrapposizioni ideologiche (poi sarebbe arrivato il liberismo sfrenato dei nuovi radicali e l'appoggio ai governi berlusconiani) che aveva visto, già alla fine della guerra e quindi nel periodo di ricostruzione tout court del nostro paese, il confronto aspro tra l'ala comunista togliattiana e quella più liberal di Mario Pannunzio.
Massimo Teodori, radicale di vecchia data, ci offre un ritratto esaustivo di quest'ultimo: la sua infanzia, la sua formazione, il suo essere intellettuale tutto tondo (scrittore, giornalista, editore) e la sua nemesi politica culminata con una morte prematura (a cinquantotto anni nel 1968).
Dalle prime riviste in epoca fascista (Oggi e Omnibus, per le quali fu visto malevolmente dagli apparati di regime, finanche con episodi di censura e obblighi di chiusura, ma che non furono sufficienti, in seguito, a dargli patente di 'vero' antifascista dai detrattori più 'spostati' a sinistra) al tentativo di creare una sponda liberale (anticomunista, ma non conservatrice) con Risorgimento liberale, fino al suo capolavoro assoluto, quel Mondo che raccolse le migliori firme dell'intelligencjia italiana degli anni cinquanta-sessanta (Scalfari, Ernesto Rossi, Valiani, Spinelli...), ma che con la sua chiusura determinò la sconfitta, non solo politica, ma anche, se vogliamo, affettiva, dell'intera esistenza di Pannunzio.
Dice Teodori: Se nell'anteguerra i riferimenti per i liberali erano state le potenze democratiche europee, nel dopoguerra il gruppo del «Mondo» guardò particolarmente agli Stati Uniti, come nazione leader dell'Occidente, e all'Europa come meta dell'unificazione federale. In tal senso, «Il Mondo» fu il più fedele portavoce dell'occidentalismo laico e liberale, e dell'anticomunismo democratico, ben distinto da quello clericale fascistoide, come si comprese sin dall'inizio.
Ma questo non bastò a Pannunzio perché potesse realizzare un terzo polo (ma pensa te!) lontano sia dall'ideologico comunismo che dalla piovra democristiana che ben presto, grazie al suo potere trascinante, inglobò quelle forze 'apparentemente' laiche e liberali (partito liberale e partito repubblicano in primo luogo) del nostro paese.
Paradossalmente la chiusura, nel 1966, de Il Mondo si combinava con lo squadernamento degli assetti politici: un partito comunista meno legato a Mosca, l'avventura del centrosinistra e i prodromi del futuro sessantotto: L'antifascismo, che aveva arginato le più faziose correnti neofasciste del dopoguerra, non era più un'utile chiave di lettura di fronte alle nuove forme di autoritarismo degli anni Sessanta.
Pannunzio fu politico mai ambiguo, coerente fino in fondo nella sua linea che lo portò parzialmente fuori dal fascismo quando si era nel regime e fuori dal bipolarismo post-bellico tra democristiani e comunisti. Se avesse avuto successo la sua ricerca di una terza via alla politica italiana, forse non avremmo avuto gli esiti nefasti che sono, ora, sotto gli occhi di tutti.
di Alfredo Ronci
Massimo Teodori, radicale di vecchia data, ci offre un ritratto esaustivo di quest'ultimo: la sua infanzia, la sua formazione, il suo essere intellettuale tutto tondo (scrittore, giornalista, editore) e la sua nemesi politica culminata con una morte prematura (a cinquantotto anni nel 1968).
Dalle prime riviste in epoca fascista (Oggi e Omnibus, per le quali fu visto malevolmente dagli apparati di regime, finanche con episodi di censura e obblighi di chiusura, ma che non furono sufficienti, in seguito, a dargli patente di 'vero' antifascista dai detrattori più 'spostati' a sinistra) al tentativo di creare una sponda liberale (anticomunista, ma non conservatrice) con Risorgimento liberale, fino al suo capolavoro assoluto, quel Mondo che raccolse le migliori firme dell'intelligencjia italiana degli anni cinquanta-sessanta (Scalfari, Ernesto Rossi, Valiani, Spinelli...), ma che con la sua chiusura determinò la sconfitta, non solo politica, ma anche, se vogliamo, affettiva, dell'intera esistenza di Pannunzio.
Dice Teodori: Se nell'anteguerra i riferimenti per i liberali erano state le potenze democratiche europee, nel dopoguerra il gruppo del «Mondo» guardò particolarmente agli Stati Uniti, come nazione leader dell'Occidente, e all'Europa come meta dell'unificazione federale. In tal senso, «Il Mondo» fu il più fedele portavoce dell'occidentalismo laico e liberale, e dell'anticomunismo democratico, ben distinto da quello clericale fascistoide, come si comprese sin dall'inizio.
Ma questo non bastò a Pannunzio perché potesse realizzare un terzo polo (ma pensa te!) lontano sia dall'ideologico comunismo che dalla piovra democristiana che ben presto, grazie al suo potere trascinante, inglobò quelle forze 'apparentemente' laiche e liberali (partito liberale e partito repubblicano in primo luogo) del nostro paese.
Paradossalmente la chiusura, nel 1966, de Il Mondo si combinava con lo squadernamento degli assetti politici: un partito comunista meno legato a Mosca, l'avventura del centrosinistra e i prodromi del futuro sessantotto: L'antifascismo, che aveva arginato le più faziose correnti neofasciste del dopoguerra, non era più un'utile chiave di lettura di fronte alle nuove forme di autoritarismo degli anni Sessanta.
Pannunzio fu politico mai ambiguo, coerente fino in fondo nella sua linea che lo portò parzialmente fuori dal fascismo quando si era nel regime e fuori dal bipolarismo post-bellico tra democristiani e comunisti. Se avesse avuto successo la sua ricerca di una terza via alla politica italiana, forse non avremmo avuto gli esiti nefasti che sono, ora, sotto gli occhi di tutti.
di Alfredo Ronci
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