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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Roberto Carvelli

Perdersi a Roma

Edizioni Interculturali, Pag. 293 Euro 12,00
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Libro pregevole, il quale offre un viaggio letterario in Roma, attraverso - più che i luoghi inusuali, che sono sbrigati in svelti ma succosi capitoli, e la messe di citazioni (pure in un loro rapporto con l'Urbe, e lo diremo) - una fitta e varia schiera d'Autori, romani di natali o d'adozione: secondo la ratio non facile "le città dicono le persone e le persone parlano per interposta città". (p. 11) Che succede, allora? Che, invece di avere il calepino di Carvelli, cioè il suo percorso nella Città - e pure c'è, organato come da vedersi -, al Lettore viene raccomandata una pletora di sguardi di scrittori, d'itinerari dunque, ognuno peculiare, ognuno significativo. E Roma è, subito: la sua parte più stronza, con Lodoli; quella politica, versione dei '70, per Erri De Luca inappartenente; la luce satura di Cotroneo major; secondo Veronesi l'architettura schiava irredimibile dei propri secoli, e assieme in equilibrio mobile con quegli abitanti che ha, che le somigliano e se la fanno somigliare; la miscela di violenta iniziazione "bullista" e trito paternalismo della Susàni; autentica come somma di soggettività soprattutto periferiche ("o Roma, o l'orto") nella visione di Cerami; reperibile nel suo dialetto, ma se cortocircuitàto, come vuole Raimo esemplando Aldo Nove; ovvero, seguendo Damiani, dramma (1) d'infanzia, e, come quella, tempo istantaneo, ove c'è simultaneità, immediatezza fra l'antico e il recente - e sarà impassibile epoca per il trovarsi assieme di vestigia di ogni evo; (p. 243) contraddizione continua di centro e margini, anche umani, in Desiati; vissuta dalla Petrignani come mistura di desiderio e disillusione, continua sregolatezza che diviene norma, in questo sempre mediorientale; e da Antonella Anedda come immensa congerie di dettagli, ma dettagli innamorati, (2) e tuttavia persi nel buio della misoginia; scoperta, da Magrelli, nella sua costruzione-decostruzione "o Roma o (m)Orte", organismo autopoietico siccome autofagocìta, come l'umanoide nella copertina del terzo numero di "Cannibale" (3) - opzione di contiguità vita-morte che si rinviene pure nel ponderato giudizio d'un Canali, proclìve a collimare il romano antico col moderno; rinverginata in un rapporto di sorellanza, come la vuole Onofri, e la segue nella pratica del dialetto; infine mela stregata, cassa di risonanza, nella lirica di Attilio Bertolucci.

Tale ricalco di nervature risalta al Lettore, e però su di esso s'inarca e si mantiene il telame delli versi strani della Roma dell'Autore, reso da Carvelli in calligrafia - quella dell'anima, "updating" Giorgio Vigolo - e comunque su un organigramma che dell'Urbe svela imperdibili direttrici: innanzitutto, il suo anello e la sua tangenziale, perciò il regime, l'asse geometrico e assieme cardiocircolatorio; indi le caratteristiche di forma, di tempo, di genere (femminile), d'orientamento, d'azione; dopodiché, le qualità dell'acque, degli odori, delle vivande, dei vini; e ancora, delle genti antiche e moderne, inurbate, migranti, sino alle periferiche declinate dai coatti-zòri-zauri alle tribù zingaresche; e infine costruttive, dai resti antiqui e panorami seducenti, al falso cinematografico ovvero architettonico (il Coppedè! La Città-Giardino!), alla "non più Roma", il recinto suburbano che annette la capitale a quel paese di poveri (cfr. p. 207) che va dilargandosi nelle tavole statistiche, e nella percezione dei ricchi (che moltiplicano perciò gli antemurali difensivi) e di chi impercettibilmente ma inesorabilmente va scivolando sulla china del "non arrivo alla fine del mese"- scoprendosi ogni giorno inispirato e meno capace di mantenere il proprio standard.

Però, in nessun attimo significativo, l'Autore dimentica il proprio mandato letterario: né potrebbe, dato che si circonda - ed è giusto, stando il sentimento col quale redige la sua rubrica - di brani stralciati dal corpus di scritture che affollano, ad essa riferendosi, Roma. E tale copia di citazioni s'erge a illustrare, nella pagina, quei ruderi e quelle bellurie di palazzi e panorami dei quali il tappeto urbano è ricco. Ecco dunque che la scrittura va a farsi illustrazione del suo mondo: il riporto da Goethe, Gogol, Brodskij, Mark Twain, la Rosselli, Dumas, Elsa Morante, Caproni, De Brosses, John Fante, Andersen, Fenoglio, Bernhard, Cortázar, la Bachmann, Cheever e mille ancora s'erge intatto nel testo su Roma come ogni rudere si rizza nel tessuto di Roma - rendendo infin ragione del motto del Filosofo secondo cui il linguaggio è imago mundi, la parola è immagine delle cose.

Ebbene: si compie così questo trasporto per cui non si dà Roma, bensì vedere Roma - e la lingua che la dice riflessa nel suo dire. Viene quindi da essere totalmente soddisfatti dal testo, considerandolo nella sua natura e venatura più elisia. Eppur si nota: come mai (teste p. 154 e 276) a tutti i protagonisti dell'operina di Carvelli càpita qualcosa di memorabile quando hanno diciassette anni? Ma a tutti, eh!?

Boh...



*****

1) intendilo nel senso teatrale del termine;

2) "polvo nos somos, sino polvo enamorada": verso strepitoso, che cito a memoria (probabilmente inesatto nella grafìa) ma del quale non ricordo l'Autore;

3) vedi, se vuoi, l'orchesca sinagoga Perché Pippo Baudo non sembra uno sballato?.



di Giulio Lascàris


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