RECENSIONI
Mia Couto
Perle
Quarup, Pag. 125 Euro 13,90
M'ispira una recensione rapida, fulminea (speriamo accattivante): sfortunatamente per il lettore l'aggettivazione usata non si confà al libro.
Innanzi tutto Mia Couto è un uomo e non una donna: nome per intero Antonio Emilio Leite 'Mia' Couto.
E' mozambicano e quindi scrive in portoghese.
Povero il traduttore, Bruno Persico, a cui dà una mano Silvia Cavalieri, che ha capito l'antifona e ha suggellato la sua fatica con una post-fazione riteniamo essenziale.
Sì perché l'autore tra funambolismi, neologismi e parole valigia l'ha fatta grossa.
La postfatrice sullo stile di Couto afferma: il personalissimo idioletto scritto.
Mah.
Si noti a pag. 11: inutensile.
Si noti a pag. 14: le braccia agguancialavano la testa.
Si noti a pag. 18: occhi tachicardici.
Si noti a pag. 19: cristallinde tristezze.
Si noti a pag. 24: La gonna pieghettanimata.
Si noti a pag. 33: Rimasi in cinta, un giorno. Ma fu semipregnanza...
Si noti a pag. 45: sferogravida.
Può bastare.
Storie di donne quasi sempre violentate, derise, sfruttate, ignorate dal maschio.
Ma nel racconto 'Il cesto' lei, che ha il marito malato in ospedale, lo vuole morto.
Ma nel racconto 'Nella tal notte' la donna si lamenta del marito che torna a casa solo un giorno all'anno e teme che la possa tradire. Ma a cornificarlo è lei.
Ah dimenticavo, qualche banalità di troppo. Leggo a pag. 55: La sera mi avvolge col suo abbraccio di rugiada.
Embè.
La povera postfatrice, che stimiamo per averci dato qualche notiziola in più sull'autore, la bruceremmo su una pira alta 10 metri quando scrive, sempre nella post-fazione: La sua scrittura non si limita, così, a incrinare la monotonia della comunicazione quotidiana, ormai resa inefficace da automatismi logori e martellanti, ma contribuisce a corrodere le catene di un'omogeneità linguistica che, obliterando le anomalie e gli scarti rispetto alla norma, rischierebbe di riprodurre in forme nuove la prolungata violenza dell'assoggettamento coloniale.
Maro' che palle. Che spreco di parole. Para para alle introduzioni alle silloge dei poetastri della domenica.
di Alfredo Ronci
Innanzi tutto Mia Couto è un uomo e non una donna: nome per intero Antonio Emilio Leite 'Mia' Couto.
E' mozambicano e quindi scrive in portoghese.
Povero il traduttore, Bruno Persico, a cui dà una mano Silvia Cavalieri, che ha capito l'antifona e ha suggellato la sua fatica con una post-fazione riteniamo essenziale.
Sì perché l'autore tra funambolismi, neologismi e parole valigia l'ha fatta grossa.
La postfatrice sullo stile di Couto afferma: il personalissimo idioletto scritto.
Mah.
Si noti a pag. 11: inutensile.
Si noti a pag. 14: le braccia agguancialavano la testa.
Si noti a pag. 18: occhi tachicardici.
Si noti a pag. 19: cristallinde tristezze.
Si noti a pag. 24: La gonna pieghettanimata.
Si noti a pag. 33: Rimasi in cinta, un giorno. Ma fu semipregnanza...
Si noti a pag. 45: sferogravida.
Può bastare.
Storie di donne quasi sempre violentate, derise, sfruttate, ignorate dal maschio.
Ma nel racconto 'Il cesto' lei, che ha il marito malato in ospedale, lo vuole morto.
Ma nel racconto 'Nella tal notte' la donna si lamenta del marito che torna a casa solo un giorno all'anno e teme che la possa tradire. Ma a cornificarlo è lei.
Ah dimenticavo, qualche banalità di troppo. Leggo a pag. 55: La sera mi avvolge col suo abbraccio di rugiada.
Embè.
La povera postfatrice, che stimiamo per averci dato qualche notiziola in più sull'autore, la bruceremmo su una pira alta 10 metri quando scrive, sempre nella post-fazione: La sua scrittura non si limita, così, a incrinare la monotonia della comunicazione quotidiana, ormai resa inefficace da automatismi logori e martellanti, ma contribuisce a corrodere le catene di un'omogeneità linguistica che, obliterando le anomalie e gli scarti rispetto alla norma, rischierebbe di riprodurre in forme nuove la prolungata violenza dell'assoggettamento coloniale.
Maro' che palle. Che spreco di parole. Para para alle introduzioni alle silloge dei poetastri della domenica.
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