RECENSIONI
Robin Black
Ritratto di un matrimonio
Neri Pozza, Traduzione di Chiara Brovelli, Pag. 264 Euro 16,50
“Immaginare e ricordare non sono la stessa cosa…”. Inizia così (l’incipit è meraviglioso, non c’è che dire) Ritratto di un matrimonio, il primo romanzo di Robin Black, scrittrice americana che finora aveva scritto solo racconti brevi. Immaginare e ricordare, un’associazione semplice, che però ci interroga sul rapporto che esiste tra l’esperienza personale e l’attività creativa.
E’ intorno a questa domanda che ruota la vicenda e i personaggi, creativi (o presunti tali): Owen, scrittore ormai in crisi che si ostina a chiudersi nel granaio per scrivere qualcosa, Augusta “Gus”, pittrice, sulle cui fortune però non sappiamo molto. I due vivono in campagna, lontani dal mondo dopo aver lasciato New York, una scelta che hanno fatto nel momento che lei ha confessato il tradimento con il padre di un’allieva. Via dalla città allora, via dal caos e dal passato, ma mentre procediamo nella lettura scopriamo però che non c’è nulla di bello in questo luogo che di creativo a dire il vero ha poco. Piattezza, ripetitività, sterilità la fanno da padroni nel menage di Gus e Owen in questa isola (in)felice. Domina l’entropia. A turbare lo status quo, a rivitalizzare in qualche modo la vita di coppia, sarà l’arrivo nella casa accanto di Alison, anche lei pittrice e, dopo un po’, la figlia di lei, Nora, vero detonatore di quella che è una situazione esplosiva.
A leggerlo bene Ritratto di un matrimonio è una sorta di balletto che ha come protagonisti quattro personaggi unpleasant, quattro psicologie “disturbate” che con i loro comportamenti si interrogano sul rapporto uomo/donna. Owen, Gus, Alison e Nora sembrano vivere in uno stato di sospensione, in cui a farla da padrone sono le loro manchevolezze e la loro mancanza di sincerità. La reazione chimica che avviene quando si “mescolano” è esplosiva, e il finale (che giunge inaspettato e calibrato male dalla Black) è la logica conclusione di una storia borghese. Buono, da leggere.
di Marco Minicangeli
E’ intorno a questa domanda che ruota la vicenda e i personaggi, creativi (o presunti tali): Owen, scrittore ormai in crisi che si ostina a chiudersi nel granaio per scrivere qualcosa, Augusta “Gus”, pittrice, sulle cui fortune però non sappiamo molto. I due vivono in campagna, lontani dal mondo dopo aver lasciato New York, una scelta che hanno fatto nel momento che lei ha confessato il tradimento con il padre di un’allieva. Via dalla città allora, via dal caos e dal passato, ma mentre procediamo nella lettura scopriamo però che non c’è nulla di bello in questo luogo che di creativo a dire il vero ha poco. Piattezza, ripetitività, sterilità la fanno da padroni nel menage di Gus e Owen in questa isola (in)felice. Domina l’entropia. A turbare lo status quo, a rivitalizzare in qualche modo la vita di coppia, sarà l’arrivo nella casa accanto di Alison, anche lei pittrice e, dopo un po’, la figlia di lei, Nora, vero detonatore di quella che è una situazione esplosiva.
A leggerlo bene Ritratto di un matrimonio è una sorta di balletto che ha come protagonisti quattro personaggi unpleasant, quattro psicologie “disturbate” che con i loro comportamenti si interrogano sul rapporto uomo/donna. Owen, Gus, Alison e Nora sembrano vivere in uno stato di sospensione, in cui a farla da padrone sono le loro manchevolezze e la loro mancanza di sincerità. La reazione chimica che avviene quando si “mescolano” è esplosiva, e il finale (che giunge inaspettato e calibrato male dalla Black) è la logica conclusione di una storia borghese. Buono, da leggere.
di Marco Minicangeli
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