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CLASSICI

Alfredo Ronci

Romanzo 'ottocentesco', pletorico, ma utile: 'Fabrizio Lupo' di Carlo Coccioli.

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Sull'utilità del medesimo provo a confrontarmi, per conto proprio, col prefatore: Walter Siti.
Dice l'ormai noto scrittore: Ha senso ripubblicare oggi questo libro monstrum perché è ancora mimetico del mostruoso coacervo di stereotipi che la società ha accumulato sugli omosessuali; ma gli omosessuali stessi, che pure si sono liberati del monumentale tra i pregiudizi che ingombravano Fabrizio Lupo (cioè dell'idea che etero e omo siano separati da compartimenti stagni e invalicabili) avrebbero torto a rimuovere, nell'entusiasmo, dell'engagement, l'ostinata persistenza delle contraddizioni.
Avrete già capito: il romanzo di Coccioli è fatto di uranismo, come si diceva tanti anni fa. Di sostanza frocia e per questa stessa fu condannato ad una sorta di maledettismo becero e assai provinciale.
Inizialmente fu scritto in francese e in terra transalpina vide la luce nel lontano 1952. Coccioli pagò quasi subito le conseguenze di questo affronto immorale: se ne andò per non subire oltraggi e umiliazioni e finì in Messico. Qua la fama, sua e del libro, lo seguì e fu tale l'influenza sulla comunità, non solo gaya, che alcuni poveretti si suicidarono perché troppo simili ai protagonisti della storia e uno, lasciando le ultime, si firmò Fabrizio Lupo.
Romanzo romantico (... ammetto che ho l'impressione di navigare in piena epoca ottocentesca), post-romantico e dannatamente pletorico: cinquecento e più pagine di dolore continuo e di simbologie, di strutture all'interno di strutture, di una storia nella storia, di spostamenti di prospettiva, d'inganni e trucchi del mestiere.
Come non intendere un trucco l'artifizio di Coccioli d'immaginare un suo fan alle prese con la sua narrativa e, proprio perché affascinato da questa, alla ricerca di un contatto con lo scrittore e confessandogli pure l'innominabile vizio che lo persegue? Cioè a dire: il gay è quello che scrive, ma che si preserva attribuendo la 'debolezza' all'altro. Alter-ego di sé.
Poca cosa si dirà: siamo nel 1952 – l'anno, come abbiamo detto, della prima edizione (pensate: siamo stati talmente intrisi dell'untuoso cattolicesimo, che in Italia Fabrizio Lupo uscì solo nel 1978 e per un editore, Rusconi, niente affatto di sinista: quest'ultima poi troppo impegnata a vedere la pagliuzza del compromesso storico e non il trave dei diritti umani) e l'artifizio ci pare tutto sommato modesta cosa, cioè che non disturba, visti i tempi.
Dunque la trama è di un Fabrizio Lupo che rincorre lo scrittore di successo e confessandogli la propria omosessualità e la passione per un certo Laurent, si propone lui stesso scrittore e autore di un libro che non ha avuto ancora edizione, ma che ha necessità di essere letto (e si spera gradito). Questo romanzo occupa i due terzi dell'intero Fabrizio Lupo: quindi un libro nel libro, una sovrastruttura nella struttura, una sorta di allucinato sogno simbolico dove il protagonista è chiamato Ragazzo – ma non ha nome – e intorno a lui vorticano personaggi ed etica discutibili e da introiettare.
Perché poi il romanzo, e il suo 'complemento' che è contenuto, sono una specie di summa della questio della diversità e dei desideri nemmeno tanto inconsci dei protagonisti. Fabrizio Lupo in questo è più risoluto e concreto. Vede innanzi tutto nella Chiesa un ostacolo insormontabile, anche nell'ambizione del credente... che a uno come me la Chiesa non aveva pensato mai. Non solo, dall'alto della sua disperazione sembra addirittura rivolgersi a Dio stesso: Io mi limito a fare una domanda che mille e mille figli della Chiesa, miei simili, hanno fatto invano, talvolta nel più timoroso silenzio, durante i secoli: "Dio può averci creati in tale forma per poi condannarci perché la nostra forma è tale?
E s'immola pure ad un'idea del rapporto e confronto col maschio di struggente concretezza: Desidero farmi bambino affinché mi si accarezzi e mi si coccoli; al tempo stesso, non bramo se non di difendere l'amato col mio proprio corpo e di dirgli: Che temi, figlio? Forse non sono qui per ripararti in me?
Laurent, l'altro, si sente braccato, vuoi per una spiccata propensione all'amore adolescenziale e vuoi proprio per un'incapacità personale a confrontarsi con la realtà: Aiutami a non essere quello che sono diventato: perché omosessuale non voglio, non voglio, non voglio esserlo!
Si diceva all'inizio del mio personale e solitario confronto col prefatore Siti: non so se sia vero il superamento dell'idea che omo e etero siano separati da comportamenti stagni e che sembra stia alla base del romanzo in questione, ma mi sembra che quest'ultimo ponga interrogatori modernissimi, non ancora risolti dalla legge e finanche dagli stessi omosessuali.
Che non mi si venga a dire, al di là di certe intrinseche ingenuità del Coccioli appena post-bellico, che le sue rivendicazioni non siano ancora valide e che le sgangherate manifestazioni di omosessuali-altri, nelle pagine del libro, non ricordino certi 'balletti verdi' o certe inusitati raduni sbandierati come esempio di libertà, quando le libertà ognuno di noi non sa trovarle nel luogo e posto giusto.
Fabrizio Lupo e il suo grande amore Laurent moriranno suicidi.
Poteva essere altrimenti?


L'edizione da noi considerata è:

Carlo Coccioli
Fabrizio Lupo
Biblioteca del Novecento/Marsilio - 2012



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