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CLASSICI

Alfredo Ronci

Un libro dimenticato: 'Mio padre Adamo' di Fortunato Pasqualino.

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Mai come in questo caso le domande su Pasqualino son scontate, ma necessarie:
Filosofo prestato alla letteratura o letterato prestato alla filosofia?
Scrittore per caso o testimonianza di un'arte narrativa efficace perché essenziale?
Sfido anche gli 'addetti ai lavori' a ricordar l'uomo di Butera (Caltanissetta) e la sua manciata di libri: e soprattutto Mio padre Adamo, che gli valse un po' di notorietà ed un premio Flaiano (nel 1963).
Poche e stringate le notizie che lo riguardano: per lo più la sua attività in Rai, le collaborazioni col mondo cattolico (Famiglia Cristiana soprattutto) e persino la sua conoscenza del teatro dei pupi: parrebbe troppo affermare che Mio padre Adamo è invece la carta migliore per conoscere l'uomo e l'intellettuale?
Libro che per semplificare dividerei in tre parti: una prima che anticipa la nascita del protagonista, in una Sicilia (In famiglia si accettava la disgrazia di essere siciliani come si accetta d'essere nati col peccato) a tratti favolosa a tratti troppo realistica per essere inventata, dove i protagonisti lasciano già impronte indelebili del loro percorso: a cominciare dalla madre (Mia madre ricordò i figli morti, le epidemie; tre dal terremoto di Messina: il colera...) che non vuole più figli perché stanca di soffrire e che cede di fronte alla preveggenza di un'indovina che non solo le profetizza un figlio sano ma le consiglia pure di leggere Le Mille e una notte; il padre Adamo, uomo apparentemente tutto di un pezzo, ma segnato dalla sfortuna di perdere nel fiume carro e cavallo (Lui aveva le ruote. In paese anche gli impiegati e i bottegai erano inchiodati) e incapace di gestire un piccolo possedimento, terreno del nonno Salvatore (Funtanachianu, sorta di minuscolo Eden che sembra far da contraltare al suo nome biblico), perso per chissà quali vizi ed inconfessabili verità; infine lo zio socialista, fantasma che appare e scompare durante la narrazione, ma che marchia in modo indelebile la fanciullezza del protagonista (Dell'orazione dello zio, i miei e la gente ricordavano solo una frase. Lo zio aveva voluto dimostrare che i siciliani avrebbero capito di più una ragione come quella dell'offesa a Menelao che non la questione di Trento e Trieste).
La seconda parte del libro racconta l'infanzia difficile di un bambino cresciuto troppo in fretta, bambino che mostra propensioni allo studio e alla lettura (Mio fratello aveva sei anni, e io nove. Ci mandarono a scuola, lui in prima, io in seconda. Nelle scuole di San Luigi non mi volevano, perché credevano che fossi troppo grande e stupido. La maestra si meravigliò, quando mi sentì leggere il libro di seconda. Avevo una bella voce. La maestra splendette tutta in un sorriso, mi prese il capo tra le mani e mi baciò in fronte. Col bacio della maestra in fronte, il primo giorno di scuola, mi vergognavo a uscire. Credevo che mi fosse rimasto a luccicare e che gli altri lo vedessero), ma che dovrà poco dopo abbandonare l'istituto perché indispensabile alle stringenti necessità della famiglia e quindi ai lavori di campo.
Nella terza parte Pasqualino affronta il problema della guerra e della confusione di un paese allo sbando dopo la defenestrazione di Mussolini e la firma della resa nel '43: Sapete che molta gente indossa le divise lasciate o rubate. E' una vanità. Ci sono anche fascisti, che si vestono da alti ufficiali e comandano fucilazioni e decimazioni, per cercare di fermare lo sbandamento. Oppure perché ce l'hanno con l'esercito. Ci sono poi civili e perfino spie. Chi ci capisce più niente.
Dalla tragedia allo scorno: lo sbandamento delle truppe italiane in Sicilia viene considerato diserzione: invece che fucilati, fummo condannati a cinque anni di carcere e subito dopo amnistiati.
Mio padre Adamo ci fa conoscere un autore nel bisogno di rappresentare un mondo e i suoi valori. Qui c'è tutto di Fortunato: le sue origini, la storia di una famiglia e quindi una sociologia senza troppi infingimenti, il senso raccolto di una pietas di fronte alla vergogne della guerra, dell'uomo la natura e la natura stessa quasi sempre implacabile. Dunque un bel tassello per ricomporre la memoria di un paese.
Ma la storia di Mio padre Adamo rivela alfine un tranello; nonostante lo stesso Fortunato dica, in interventi successivi alla pubblicazione, che alla base del romanzo vi è una rappresentazione quasi religiosa della vita (Ho notato che qualche amico ha incontrato una certa difficoltà ad afferrare nel romanzo l'idea biblica, che è poi anche l'idea drammatica e direi pure stilistica centrale) e nonostante ci si faccia notare che la biblicità si estrinseca in uno stile che ricorda cadenze e ritorni alla stregua di vecchi cantastorie, mi verrebbe da aggiungere che la scena di fatto è dell'umano: del padre-padrone, ma in fondo nemmeno tanto, che ha segnato le sorti di una famiglia, nel bene e soprattutto nel male (sfortuna?) e di una straordinaria donna (la madre) che di fronte alla malattia del marito e alla partenza dei figli per Roma a cercar lavoro, preferisce, senza indecisione alcuna, rimanere accanto all'uomo: Le altre volte era voluta venire alla stazione. Forse anche per il piacere di vedere i treni. Quella volta disse: "Rimango con lui".
Ci verrebbe da dire... Mio padre Adamo... e mia madre Eva.


L'edizione da noi considerata è:

Fortunato Pasqualino
Mio padre Adamo
Cappelli editore - 1963





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