RECENSIONI
Marchesa Colombi
Un matrimonio in provincia
Einaudi, Pag. 103 Euro 9,00
Che equivale a dire: schizofrenia. Ma sì, ci sarà pure la tradizione calviniana dell'antica collana einaudiana 'centopagine', ci sarà pure la tentazione tutta notarile di spulciare nel passato, ma quest'offerta è palesemente disgregante, oserei dire, perturbante, e citando Totò... adiacente.
Ma so già anche le resistenze: ma come, vi lamentate spesso del vuoto pneumatico della letteratura contemporanea e poi v'ingrugnate (ingrugnite?) se qualcuno estrae dal vecchio comò della nonna un libriccino incantevole e sfizioso?
Appunti legittimi: e ne sono consapevole, ma quest'uscita mi sa ancor più di gommone salvagente lanciata nella distesa liquida della disperazione.
L'introduzione che fu di Natalia Ginzburg già nell'edizione calviniana ci prepara al fatto: di un mondo ormai sepolto, talmente lontano dalle consuetudini e dal post-moderno, dal post-capitalismo, dal post-neweconomy, che Un matrimonio in provincia ci sembra più vicino alle prurigini di una Gaspara Stampa (addirittura!) e poi da lei la sfilza delle donzelle che arriva alla Invernizio, piuttosto che alle timide revendicazioni di una Aleramo.
Son vicende di trine, di solitudini, di case fredde, di matrimoni aggiustati, di chiesa, di passeggiate rigeneranti, di amori inventati, di amori costruiti e di fanciulle minchione (attenti al significato primiero e popolare).
Di lei, l'autrice, si dice che il nome era pseudonimo, che scrisse pure abbastanza, che sposò il direttore del Corriere della Sera (sposarlo ora sarebbe una noia mortale... ma si celia!) e che da lui in seguito si separò. Non sappiamo altro, almeno in questa edizione einaudiana, se non che il libriccino fece innamorare Calvino e la stessa Ginzburg (che lo rilesse a distanza di anni e addirittura volle conoscere di persona le ambientazioni novaresi).
Gaudenzia, detta Denza, la protagonista della vicenda, vive col padre e la sorella minore. E' una bella ragazza e solo a diciassette anni viene fatta oggetto di attenzione da parte di un danaroso quasi suo coetaneo, che però sposerà un'altra pari-condizione e costringendo la ragazza ad accontentarsi di un pretendente che non è brutto, ma che ha una brutta ciste sulla tempia ...Come una noce. Portando i capelli abbassati sulla tempia, non si vede neppure.
Raccontato così il libro lo si potrebbe sfrattare: tutt'altro. Deliziosamente retro e con ingenuità epocali che strappano il sorriso (Poi si volse alla matrigna e parlò d'altro lasciandomi tutta pallida e fredda, con quella trafittura nel cuore. A Parigi! Ma era dunque possibile che si andasse davvero a Parigi? E che se ne tornasse? Pag. 75), è testimonianza netta e polita di un tempo che sembra lontano anni luce. Di quando per aspettare un sì dell'amato/a, ma solo un sì, si attendevano stagioni intere, quasi una generazione. Dice bene la Ginzburg: E se ripensavo agli anni che Denza aveva passato in attesa della domanda, mi sembrava che sui quei lungi anni vuoti e monotoni e su quel matrimonio finale niente affatto roseo si stendesse non malinconia o delusione ma invece una strana, amara, ruvida e grigia allegria.
Già, grigia allegria. Sempre meglio del vuoto pneumatico. Perché si sa, il vuoto non ha colore.
di Alfredo Ronci
Ma so già anche le resistenze: ma come, vi lamentate spesso del vuoto pneumatico della letteratura contemporanea e poi v'ingrugnate (ingrugnite?) se qualcuno estrae dal vecchio comò della nonna un libriccino incantevole e sfizioso?
Appunti legittimi: e ne sono consapevole, ma quest'uscita mi sa ancor più di gommone salvagente lanciata nella distesa liquida della disperazione.
L'introduzione che fu di Natalia Ginzburg già nell'edizione calviniana ci prepara al fatto: di un mondo ormai sepolto, talmente lontano dalle consuetudini e dal post-moderno, dal post-capitalismo, dal post-neweconomy, che Un matrimonio in provincia ci sembra più vicino alle prurigini di una Gaspara Stampa (addirittura!) e poi da lei la sfilza delle donzelle che arriva alla Invernizio, piuttosto che alle timide revendicazioni di una Aleramo.
Son vicende di trine, di solitudini, di case fredde, di matrimoni aggiustati, di chiesa, di passeggiate rigeneranti, di amori inventati, di amori costruiti e di fanciulle minchione (attenti al significato primiero e popolare).
Di lei, l'autrice, si dice che il nome era pseudonimo, che scrisse pure abbastanza, che sposò il direttore del Corriere della Sera (sposarlo ora sarebbe una noia mortale... ma si celia!) e che da lui in seguito si separò. Non sappiamo altro, almeno in questa edizione einaudiana, se non che il libriccino fece innamorare Calvino e la stessa Ginzburg (che lo rilesse a distanza di anni e addirittura volle conoscere di persona le ambientazioni novaresi).
Gaudenzia, detta Denza, la protagonista della vicenda, vive col padre e la sorella minore. E' una bella ragazza e solo a diciassette anni viene fatta oggetto di attenzione da parte di un danaroso quasi suo coetaneo, che però sposerà un'altra pari-condizione e costringendo la ragazza ad accontentarsi di un pretendente che non è brutto, ma che ha una brutta ciste sulla tempia ...Come una noce. Portando i capelli abbassati sulla tempia, non si vede neppure.
Raccontato così il libro lo si potrebbe sfrattare: tutt'altro. Deliziosamente retro e con ingenuità epocali che strappano il sorriso (Poi si volse alla matrigna e parlò d'altro lasciandomi tutta pallida e fredda, con quella trafittura nel cuore. A Parigi! Ma era dunque possibile che si andasse davvero a Parigi? E che se ne tornasse? Pag. 75), è testimonianza netta e polita di un tempo che sembra lontano anni luce. Di quando per aspettare un sì dell'amato/a, ma solo un sì, si attendevano stagioni intere, quasi una generazione. Dice bene la Ginzburg: E se ripensavo agli anni che Denza aveva passato in attesa della domanda, mi sembrava che sui quei lungi anni vuoti e monotoni e su quel matrimonio finale niente affatto roseo si stendesse non malinconia o delusione ma invece una strana, amara, ruvida e grigia allegria.
Già, grigia allegria. Sempre meglio del vuoto pneumatico. Perché si sa, il vuoto non ha colore.
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