CLASSICI
Alfredo Ronci
Un onesto raccontatore di tragedie: “Gli occhiali d’oro” di Giorgio Bassani.

Fadigati parlava del sentimento della natura nei Greci e del significato che secondo lui bisognava attribuire ad aggettivi come “purpureo” e “violaceo”, applicati da Omero all’acqua dell’oceano. Mio padre parlò a sua volta di Orazio, e quindi delle Odi barbare, le quali rappresentavano, in polemica quasi quotidiana con me, il suo ideale supremo nel campo della poesia moderna.
Queste poche righe sono tratte appunto dal romanzo Gli occhiali d’oro che Bassani fece uscire nel 1958 e che furono assai apprezzato dal pubblico e dalla critica del tempo. Ma il motivo che mi ha indotto a riportare il brano è un altro: si può “condannare” uno scrittore per essersi espresso in cotal guisa e ritenerlo addirittura responsabile della morte del romanzo? Mi riferisco ovviamente alle invettive che Bassani dovette subire dai trepidi “maestri” del Gruppo 63 (e ricordiamoci che non fu l’unico, basti pensare a Cassola).
Dicevamo a suo tempo (il tempo di ricordare Il giardino dei Finzi Contini): perché mai, pur affrontando situazioni ed argomenti così delicati, il Bassani fu accusato di trascinare la letteratura italiana verso sponde culturalmente di grido? Cos’altro aveva di diverso rispetto a scrittori che si agitavano nelle stesse condizioni, soprattutto in quel periodo, e soprattutto considerando che erano anni in cui il neorealismo e quindi tutta la faccenda legata alla guerra, cominciava a mostrare segni di stanchezza?
Non si è mai arrivati ad una risposta certa, resta il fatto però che in quegli anni, Bassani stava su una sponda e gli allegri avanguardisti del Gruppo 63 dall’altra.
Gli occhiali d’oro per quello che ha raccontato, rimane un onesto libro di faccende di guerra, ma anche con qualcosa in più. E vediamolo.
E’ la storia di Athos Fadigati, un dottore otorinolaringoiatra, che all’improvviso perde la testa per un accattivante giovane della gioventù ferrarese (la stessa che avevamo visto ne Il giardino dei Finzi Contini) ma che poi dovrà fare i conti con l’atmosfera ripugnante dell’epoca e nel pieno delle sue responsabilità e delle condizioni del tempo si uccide affogando nelle acque del Po.
Il Bassani giovane (lo riteniamo lui il protagonista della storia) lo ricorda così, proprio agli inizi del romanzo: Ma prima ancora che per queste ragioni, dovette raccomandarsi per come era: per quegli occhiali d’oro che scintillavano simpaticamente sul colorito terreo delle guance glabre, per la pinguedine niente affatto sgradevole di quel suo grosso corpo di cardiaco congenito, scampato per miracolo alla crisi della pubertà e sempre avvolto, anche l’estate, di soffici lane inglesi (durante la guerra, a causa della salute, non aveva potuto prestare servizio che nella censura postale). In lui ci fu di sicuro, insomma, a prima vista, qualcosa che subito attrasse e rassicurò.
Dunque questo dottore, che andò via da Venezia per cercare fama ed onore a Ferrara, e che ormai era degno di tutto rispetto dai ferraresi e non solo, comincia a perdere stima e considerazione prima per le lingue affilate dei ragazzi del posto e poi per certe sue “manifestazioni” che davano adito anche alle maldicenze meno pungenti.
Ma in più, in quel 1938 c’era qualcosa che atterriva tutta la popolazione italiana. Le leggi razziali. E Marina Beer nel suo saggio sulla memoria e testimonianza ne dà un perfetto ritratto: Ma il ghetto degli ebrei ferraresi è soltanto un ghetto chiuso dentro un altro ghetto dalle mura più alte: la Ferrara di Bassani, terreno di coltura del fascismo, città chiusa e borghese, appartata dalle sue crudeli miserie, nelle sue esclusioni, nella sua ipocrisia, nel suo opportunismo cinico e feroce e nelle sue turbolenze violenze: “prigione e ghetto comune”.
E in questa situazione, dove anche il dettaglio può essere di vitale importanza, non può assolutamente esserci il posto per una sessualità diversa (diversità, in quel tempo, malata). E anche il protagonista, ripetiamo ancora una volta il Bassani, pur intristito e quasi colpevolizzato dalla situazione in cui si trova il Fadigati, non può far altro che constatare la morte di quello che ormai era diventato un amico, ma senza aggiungere altro.
Infatti il libro si chiude con questa frase: “E’ morto il dottor Fatigati” dissi.
L’edizione da noi considerata è:
Giorgio Bassani
Gli occhiali d’oro
Oscar Mondadori
Queste poche righe sono tratte appunto dal romanzo Gli occhiali d’oro che Bassani fece uscire nel 1958 e che furono assai apprezzato dal pubblico e dalla critica del tempo. Ma il motivo che mi ha indotto a riportare il brano è un altro: si può “condannare” uno scrittore per essersi espresso in cotal guisa e ritenerlo addirittura responsabile della morte del romanzo? Mi riferisco ovviamente alle invettive che Bassani dovette subire dai trepidi “maestri” del Gruppo 63 (e ricordiamoci che non fu l’unico, basti pensare a Cassola).
Dicevamo a suo tempo (il tempo di ricordare Il giardino dei Finzi Contini): perché mai, pur affrontando situazioni ed argomenti così delicati, il Bassani fu accusato di trascinare la letteratura italiana verso sponde culturalmente di grido? Cos’altro aveva di diverso rispetto a scrittori che si agitavano nelle stesse condizioni, soprattutto in quel periodo, e soprattutto considerando che erano anni in cui il neorealismo e quindi tutta la faccenda legata alla guerra, cominciava a mostrare segni di stanchezza?
Non si è mai arrivati ad una risposta certa, resta il fatto però che in quegli anni, Bassani stava su una sponda e gli allegri avanguardisti del Gruppo 63 dall’altra.
Gli occhiali d’oro per quello che ha raccontato, rimane un onesto libro di faccende di guerra, ma anche con qualcosa in più. E vediamolo.
E’ la storia di Athos Fadigati, un dottore otorinolaringoiatra, che all’improvviso perde la testa per un accattivante giovane della gioventù ferrarese (la stessa che avevamo visto ne Il giardino dei Finzi Contini) ma che poi dovrà fare i conti con l’atmosfera ripugnante dell’epoca e nel pieno delle sue responsabilità e delle condizioni del tempo si uccide affogando nelle acque del Po.
Il Bassani giovane (lo riteniamo lui il protagonista della storia) lo ricorda così, proprio agli inizi del romanzo: Ma prima ancora che per queste ragioni, dovette raccomandarsi per come era: per quegli occhiali d’oro che scintillavano simpaticamente sul colorito terreo delle guance glabre, per la pinguedine niente affatto sgradevole di quel suo grosso corpo di cardiaco congenito, scampato per miracolo alla crisi della pubertà e sempre avvolto, anche l’estate, di soffici lane inglesi (durante la guerra, a causa della salute, non aveva potuto prestare servizio che nella censura postale). In lui ci fu di sicuro, insomma, a prima vista, qualcosa che subito attrasse e rassicurò.
Dunque questo dottore, che andò via da Venezia per cercare fama ed onore a Ferrara, e che ormai era degno di tutto rispetto dai ferraresi e non solo, comincia a perdere stima e considerazione prima per le lingue affilate dei ragazzi del posto e poi per certe sue “manifestazioni” che davano adito anche alle maldicenze meno pungenti.
Ma in più, in quel 1938 c’era qualcosa che atterriva tutta la popolazione italiana. Le leggi razziali. E Marina Beer nel suo saggio sulla memoria e testimonianza ne dà un perfetto ritratto: Ma il ghetto degli ebrei ferraresi è soltanto un ghetto chiuso dentro un altro ghetto dalle mura più alte: la Ferrara di Bassani, terreno di coltura del fascismo, città chiusa e borghese, appartata dalle sue crudeli miserie, nelle sue esclusioni, nella sua ipocrisia, nel suo opportunismo cinico e feroce e nelle sue turbolenze violenze: “prigione e ghetto comune”.
E in questa situazione, dove anche il dettaglio può essere di vitale importanza, non può assolutamente esserci il posto per una sessualità diversa (diversità, in quel tempo, malata). E anche il protagonista, ripetiamo ancora una volta il Bassani, pur intristito e quasi colpevolizzato dalla situazione in cui si trova il Fadigati, non può far altro che constatare la morte di quello che ormai era diventato un amico, ma senza aggiungere altro.
Infatti il libro si chiude con questa frase: “E’ morto il dottor Fatigati” dissi.
L’edizione da noi considerata è:
Giorgio Bassani
Gli occhiali d’oro
Oscar Mondadori
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