CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Una voce bella e suadente non fa Otis Redding: 'Home again' di Michael Kiwanuka.

Se ne parla in giro come fosse un fenomeno: sport questo di cercar portenti che, ormai, a livello mondiale, è diventata smania. Forse per la pochezza dei tempi e delle 'mode'.
Cerchiamo di ragionare: Michael Kiwanuka, di origine, sembra, ugandese, è un ventiquattrenne a cui fai fatica a dare un'età, diciamo che è indefinibile. Ha alle spalle una già ricca esperienza, ha fatto pure da apriconcerto ad Adele, mica pizza e fichi. E se tanto mi da tanto (oddio, non è che Adele sia la quintessenza della magnificenza, ma canta come si deve e le sue canzoni sono così tremendamente accattivanti!) qualcosa ci dovremmo aspettare. E infatti il giovane/non giovane non ci delude perché ha una bella voce, si scrive pure i testi, e capisci subito che la sua 'negritudine' è qualcosa che non può essere disgiunta dalla sua personalità.
E poi diciamocelo, uno che è cresciuto a Marvin Gaye, a Otis Redding e a Jimi Hendrix cosa vuoi che faccia o che dica? (Kiwanuka ha ammesso pure che una delle sue fonti ispiratrici è stato ed è Bob Dylan!).
Dunque pedigree perfetto, un'innata dote di intrattenitore, una buonissima propensione vocale ed il gioco è fatto.
Eppure...
Eppure 'sto mostro di talento non lo vedo, anzi, non lo sento. L'attacco del disco è potente ('Tell me a tale'), non perché chissà quale sezione di fiati venga fuori (se uno parla di Otis Redding s'immagina pure un bel contorno!), ma perché t'accorgi che l'ugola del giovinotto è energica e scattante e che forse quel che si dice in giro ha una sua ragione d'essere.
Poi all'improvviso ti rendi conto che il disco procede senza intoppi, nell'assoluta piattezza di un disco bellino, pure seducente, ma per nulla attrattivo.
Ti riscuoti dal primo abbiocco con la splendida ballata 'Rest', ma il gioco (che gli si ritorce contro, hai voglia a dire) della falsa seduzione riprende e devi aspettare i due brani finali, rispettivamente 'Any day will do fine' e 'Worry walks beside me' per scuoterti un po' e convincerti che alla fine il dischetto ha anche alcune sue peculiarità.
Per me poco, rispetto agli strilli del giornalismo musicale. Questo ha scomodato la trimurti della negritudine per farci digerire il giovinotto. Fiato sprecato: mi tengo il mio Otis Redding, mi tengo il mio Marvin Gaye, mi tengo il mio Hendrix (nel caso in questione, solo come fonte ispiratrice) e se proprio ho tempo in più (mica facile) mi faccio un giretto con Michael Kiwanuka. Ma proprio se non ho nulla da fare.
Michael Kiwanuka
Home again
Polydor - 2012
Cerchiamo di ragionare: Michael Kiwanuka, di origine, sembra, ugandese, è un ventiquattrenne a cui fai fatica a dare un'età, diciamo che è indefinibile. Ha alle spalle una già ricca esperienza, ha fatto pure da apriconcerto ad Adele, mica pizza e fichi. E se tanto mi da tanto (oddio, non è che Adele sia la quintessenza della magnificenza, ma canta come si deve e le sue canzoni sono così tremendamente accattivanti!) qualcosa ci dovremmo aspettare. E infatti il giovane/non giovane non ci delude perché ha una bella voce, si scrive pure i testi, e capisci subito che la sua 'negritudine' è qualcosa che non può essere disgiunta dalla sua personalità.
E poi diciamocelo, uno che è cresciuto a Marvin Gaye, a Otis Redding e a Jimi Hendrix cosa vuoi che faccia o che dica? (Kiwanuka ha ammesso pure che una delle sue fonti ispiratrici è stato ed è Bob Dylan!).
Dunque pedigree perfetto, un'innata dote di intrattenitore, una buonissima propensione vocale ed il gioco è fatto.
Eppure...
Eppure 'sto mostro di talento non lo vedo, anzi, non lo sento. L'attacco del disco è potente ('Tell me a tale'), non perché chissà quale sezione di fiati venga fuori (se uno parla di Otis Redding s'immagina pure un bel contorno!), ma perché t'accorgi che l'ugola del giovinotto è energica e scattante e che forse quel che si dice in giro ha una sua ragione d'essere.
Poi all'improvviso ti rendi conto che il disco procede senza intoppi, nell'assoluta piattezza di un disco bellino, pure seducente, ma per nulla attrattivo.
Ti riscuoti dal primo abbiocco con la splendida ballata 'Rest', ma il gioco (che gli si ritorce contro, hai voglia a dire) della falsa seduzione riprende e devi aspettare i due brani finali, rispettivamente 'Any day will do fine' e 'Worry walks beside me' per scuoterti un po' e convincerti che alla fine il dischetto ha anche alcune sue peculiarità.
Per me poco, rispetto agli strilli del giornalismo musicale. Questo ha scomodato la trimurti della negritudine per farci digerire il giovinotto. Fiato sprecato: mi tengo il mio Otis Redding, mi tengo il mio Marvin Gaye, mi tengo il mio Hendrix (nel caso in questione, solo come fonte ispiratrice) e se proprio ho tempo in più (mica facile) mi faccio un giretto con Michael Kiwanuka. Ma proprio se non ho nulla da fare.
Michael Kiwanuka
Home again
Polydor - 2012
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