RECENSIONI
Paolo Di Orazio
Vloody Mary
Coniglio editore, Pag. 188 Euro 12,50
"Io non devo sopravvivere, commissario"
Vanacura reclina il capo, soavemente interdetto
"Io devo soprammorire".
Mio nonno era uso raccontar una storia di plenilunio: faceva il contadino, lavorava la terra, era geloso delle sue viti e raccoglieva uva con lo stesso piacere con cui si raccoglie un bimbo. Un pomeriggio autunnale s'attardò, il sole se ne fuggì presto: circa alle sei s'era già notte e con un venticello che rinfrescava persino le ossa.
Mentre s'aggiustava la giacca lasciata appesa ad un palo, sentì un rumore dietro sé: non era il suo cane fedele che s'era già avviato sulla via del ritorno, perché mal sopportava il buio per via di un glaucoma. Girandosi non scorse nulla, se non una leggera brezza che pareva mortificar le poche foglie rimaste dopo la vendemmia.
Dunque mio nonno s'incamminò ma dopo nemmeno cento metri si volse ancora perché aveva sentito un fruscio, come un corpo trascinato di malavoglia sul terreno. Uomo d'altri tempi era sì gagliardo, ma anche, e spesso, preda delle superstizioni. Guardò un attimo la luna già alta in cielo e piena come un bigoncio d'uva e poi bestemmiò. E così come un battito cardiaco accelera a volte all'improvviso senz'alcun motivo proprio, così mio nonno con un allungo subitaneo deviò di sentiero, pur di arrivare presto a cena e pur di non ascoltare il mondo che sibila.
Arrivò a casa che trafelava mentre mia nonna gli chiese, inconsapevole, s'avesse mondato gli attrezzi.
Per anni andò raccontando ch'era stato inseguito da un lupo mannaro e ci mancò poco che non lo sbranasse vivo.
Vloody Mary, come dice una sorta di strillo in prima, è una iliade necrolesbo di una deejay rock in una nera giostra di licantropi, morti viventi e amori terminali che insanguinano Roma.
Dove si noti già l'aggettivazione ossessiva per risaltar l'azione.
Azione tutta 'dark' nel cerimoniale rokkettaro di oggi e per il quale l'autore (mistifica una buona attitudine da scrivano con una miscela di generi grandguignol) tenta pure la carta della morale in odor di gioventù: Qual è l'assetto mentale di tutta questa gente? Che pensa ognuno di loro? E in cosa credono? L'ignoranza è virale quanto le mani sporche o l'indifferenza nei confronti di qualunque profilassi medica (...) E in cosa possono evolvere i virus, se non in manifestazioni sempre più grottesche della vita e della morte? La tragedia volge in commedia, e un uomo vivente è la farsa della volontà di Dio. E' il figlio ripudiato più che perfetto.
Mio nonno era geloso della sua vigna e mica avrebbe capito, pur trattandosi di licantropia e similia.
di Franco del Rio
Vanacura reclina il capo, soavemente interdetto
"Io devo soprammorire".
Mio nonno era uso raccontar una storia di plenilunio: faceva il contadino, lavorava la terra, era geloso delle sue viti e raccoglieva uva con lo stesso piacere con cui si raccoglie un bimbo. Un pomeriggio autunnale s'attardò, il sole se ne fuggì presto: circa alle sei s'era già notte e con un venticello che rinfrescava persino le ossa.
Mentre s'aggiustava la giacca lasciata appesa ad un palo, sentì un rumore dietro sé: non era il suo cane fedele che s'era già avviato sulla via del ritorno, perché mal sopportava il buio per via di un glaucoma. Girandosi non scorse nulla, se non una leggera brezza che pareva mortificar le poche foglie rimaste dopo la vendemmia.
Dunque mio nonno s'incamminò ma dopo nemmeno cento metri si volse ancora perché aveva sentito un fruscio, come un corpo trascinato di malavoglia sul terreno. Uomo d'altri tempi era sì gagliardo, ma anche, e spesso, preda delle superstizioni. Guardò un attimo la luna già alta in cielo e piena come un bigoncio d'uva e poi bestemmiò. E così come un battito cardiaco accelera a volte all'improvviso senz'alcun motivo proprio, così mio nonno con un allungo subitaneo deviò di sentiero, pur di arrivare presto a cena e pur di non ascoltare il mondo che sibila.
Arrivò a casa che trafelava mentre mia nonna gli chiese, inconsapevole, s'avesse mondato gli attrezzi.
Per anni andò raccontando ch'era stato inseguito da un lupo mannaro e ci mancò poco che non lo sbranasse vivo.
Vloody Mary, come dice una sorta di strillo in prima, è una iliade necrolesbo di una deejay rock in una nera giostra di licantropi, morti viventi e amori terminali che insanguinano Roma.
Dove si noti già l'aggettivazione ossessiva per risaltar l'azione.
Azione tutta 'dark' nel cerimoniale rokkettaro di oggi e per il quale l'autore (mistifica una buona attitudine da scrivano con una miscela di generi grandguignol) tenta pure la carta della morale in odor di gioventù: Qual è l'assetto mentale di tutta questa gente? Che pensa ognuno di loro? E in cosa credono? L'ignoranza è virale quanto le mani sporche o l'indifferenza nei confronti di qualunque profilassi medica (...) E in cosa possono evolvere i virus, se non in manifestazioni sempre più grottesche della vita e della morte? La tragedia volge in commedia, e un uomo vivente è la farsa della volontà di Dio. E' il figlio ripudiato più che perfetto.
Mio nonno era geloso della sua vigna e mica avrebbe capito, pur trattandosi di licantropia e similia.
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