Attualità

Citando Dalla. La letteratura gay come la musica andina: che noia mortale!
Lo confesso: non ho visto A single man, il film di Tom Ford tratto dall'omonimo romanzo di Christopher Isherwood, ma mi chiedo da dove il regista-stilista abbia preso spunto per realizzare la scena (mandata in onda in una trasmissione televisiva) in cui il protagonista s'aggiusta più volte sul letto per trovare una posizione comoda per poi spararsi in bocca. Mistero delle trasposizioni cinematografiche.
Perché A single man, il romanzo (tempestivamente riapparso in libreria per i tipi Adelphi),

Quando l'unico senso sta nella ricerca del senso.
Non mi capita quasi mai di parlare di pittura. Primo perché non sono un esperto né un critico d'arte. Poi perché quella contemporanea mi lascia totalmente indifferente. Il trionfo dell'astrattismo fine a se stesso e auto-celebrativo di questi tempi fa venir voglia di premiare i disegni dei bambini delle elementari, almeno ci mettono il cuore. Caso completamente a parte, almeno per la pittura italiana, è quello di Franco Ferrari.
Premetto una cosa. Non si può leggere un articolo sui quadri (ancora più che di musica senza ascoltarla ad esempio) senza averli visti.

La megalomania, o di una prospettiva letteraria.
Quando si afferma che una casa editrice può esimersi dal pubblicare letteratura, che in fondo è un concetto effimero e non catalogabile, e si aggiunge che chi, come Giulio Einaudi, elaborando un piano culturale che accordava certa preminenza proprio alla produzione di storie forti, altro non dava che segni di megalomania, si è detto qualcosa che non si può, o forse non si deve approvare, ma su cui vale la pena di riflettere, non fosse altro che perché rappresenta uno stato di fatto: in Italia, negli ultimi trenta anni, si è diffusa una certa tendenza a non produrre e consumare queste storie forti, a non elaborare e godere di metafore essenziali:

Che brutta gente! Viva il Grande Fratello!
Catodicamente recidivo. Ecco come mi definirei. Perché non si spiega il mio attaccamento ad una trasmissione come Che tempo che fa. Dico sempre (e l'ho scritto anche qua sopra, più di qualche volta) che alimenta il mio astio nei confronti della cultura in genere (detesto la Maria Goretti dei suggerimenti editoriali, tale Giovanna Zucconi che farebbe meglio a rivolgersi ad un hair-stylist coi coglioni prima di uscire di casa, ma, ad essere sinceri, ha fatto opera buona e meritoria nell'ultima puntata presentando Bruno Schulz), anche se a tratti, grazie al meteorologo Luca Mercalli,

Ma quelli dell'Accademia della Crusca non scopano?
Recentemente un concorrente del Grande Fratello (si dirà: ma ti vedi il Grande Fratello? La risposta è sì, ma non rivelerò mai, nemmeno sotto tortura, perché lo faccio) ha pronunciato la seguente espressione: ti voglio vivere. Qualcuno al di fuori della casa ha commentato che si tratta di un vero e proprio neologismo e che l'Accademia della Crusca avrebbe dovuto riflettere sull'accaduto.
Ora, l'appunto riportato dimostra la perfetta ignoranza di chi crede che una frase usatissima possa passare per un costrutto originale

Autobiografia di una repubblica: gli italiani e l'arte dell'auto-assoluzione.
Che quella italiana sia un'anomalia, è convinzione diffusa. Che sia un'anomalia di cui essere orgogliosi, ahimé anche, sebbene questo sia poco detto da un certo genere di 'intellettuali', sconosciuto a un pubblico internazionale per il semplice fatto che è incline meno allo studio che al trombonesco cazzeggio giornalistico. Gli editorialisti che fiancheggiano, orientano, giustificano il peggio dell'italica stirpe lo fanno nei modi democristiani che hanno fatto scuola, dissimulando poco onestamente e sparando contro il fantasma del comunismo – tralascio i Feltri perché allo schifo non si comanda.

Il risentimento dei lettori mediocri
Leggo sull'inserto libri domenicale de Il sole 24 ore del 13 dicembre 2009 a firma Eli Gottlieb: "Il problema" spiega un alto dirigente di una casa editrice italiana che conosco, che ha lavorato con editori sia italiani sia stranieri e mi ha pregato di non citarne il nome "è che in Italia si pubblicano troppi libri. Di conseguenza è naturale che abbiano una vita sempre più breve e che le edizioni abbiano un numero di copie sempre più ridotto. Gli anticipi sono di modesta entità e gli scrittori si sentono demoralizzati ed insoddisfatti, perché stanno vivendo ancora il sogno di 40 50 anni fa, quando pubblicare un libro significava tutto.

La storia negata: il revisionismo e il suo uso politico.
In un bell'intervento sull'inserto dei libri de Il sole 24 ore del 22 novembre 2009 (*) Sergio Luzzatto definisce la vicenda del revisionismo in Italia una sorta di storia lineare: che parte con la fine del comunismo sovietico e di conseguenza con il consolidarsi della crisi della 'partitocrazia' e la formazione di una specie di cartello accademico-mediatico che ha nelle sue intenzioni quella di attentare alle basi di una storiografia in parte consolidata e che, tutt'ora, agita i vessilli di una riformulazione di alcuni aspetti del nostro vissuto.

Lo scrittore che incontrò le belve di Abbadon. Nascita di un libro di culto.
Lo confesso. Quando in libreria avevo letto la trama dell'ultimo romanzo di Niccolò Ammaniti (che è il mio scrittore preferito) ero inorridito. M'ero detto: ecco qua, un'altra vittima del sistema editoriale cannibale, perso appresso all'ingordigia delle grandi case editrici versione Autogrill. Lo credevo un doppione de l'Ultimo capodanno dell'umanità, il suo racconto da cui Marco Risi aveva tratto uno dei suoi film più orrendi. Mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa, riconosco ora. Il libro è un piccolo grande capolavoro di bravura stilistica-umoristica.

Ancora polemiche su Fiume! E poi stop.
L'articolo apparso pochi giorni fa sul Paradiso Qualche verità su Fiume a nome Massimiliano Di Mino in 'risposta' ad un articolo apparso su Venerdi di Repubblica, sembra aver scatenato un putiferio. Gli risponde a tono Adriano Scianca di 'Casa Pound'. Ma gli orchi Di Mino (c'è pure Pier Paolo) venuti a conoscenza della risposta, rispondono a loro volta. Voi lettori abbiate pazienza, perché lo scambio oltre che interessante è anche corposo. Ma se li costringessimo ad affrontarsi in una pubblica piazza? Si accettano scomesse. Spettacolo sconsigliato ai deboli di cuore.
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