Cinema e Musica

Il rituale post-pop prosegue, e i White Lies tessono la loro tela musicale con abilità e furbizia
Il secondo album dei White Lies, Ritual, non è bello né brutto. È semplicemente il secondo album. Ci sono alcuni grandissimi pezzi e altri meno riusciti. Nel complesso regge la super prova della riconferma dopo il grande successo del loro album d'esordio del 2009, To lose my life. Non aspettative chissà che. Ascoltatelo più volte e pian piano accontentatevi di scoprire delle belle chicche, che mi piace definire post-pop, perché loro affondano le loro radici nella new wave britannica anni'80 adattandola alla moda ormai senza freni di suonare per forza come i Joy Division (che volete fare, non se ne esce).

Panellismi e talento nel disco di Elisa Rossi: 'Viola Selise'
I più attenti la ricorderanno creatura 'aliena' (nel senso diversa dal volgo) e precisa nel canto come un orologio svizzero nella seconda edizione di X Factor. Poi ci pensò l'inerudita Ventura a sbatterla fuori. Come nelle migliori fiabe in cui c'è il lupo cattivo.
Elisa Rossi ha classe, ma non sappiamo se per frequentazioni giuste (ha fatto la scuola di canto moderno/jazz e il laboratorio della Maria Pia de Vito) o per talento sicuro: c'è che il suo disco veleggia su mari sicuri governato con maestria e abilità.

Ad ognuno il suo Legrottaglie, i tedeschi ora hanno Nina Hagen: 'Personal Jesus' l'ultima trovata.
C'è poco da fare la stupefatta in copertina: stupefatti siamo noi. Non che perdessimo il sonno per l'attesa di un nuovo disco della Hagen, ma mai avremmo pensato a dei risultati del genere.
Lei vuole fare ancora la scugnizza vivace, fa la birichina nell'approccio e soprattutto nel canto, come sua consuetudine, ma poi quel che esce dalla bocca sono insulse preci da catechesi di provincia.

Tra incubi giovanili esistenziali e sixties: 'Dei cani' dei Non voglio che Clara.
Ragazzacci. Dice Fabio De Min, il cantante e principale autore della band, ad un'intervista a XL di Repubblica: Ciò che mi è sempre piaciuto del nostro nome, al di là del fatto che questa Clara non esiste, è che al suo interno c'è una negazione, "non", che esprime un senso di volontà. E poi il nome di donna evidenzia la componente femminile che ben si adatta alla nostra musica. Dovessi sceglierlo adesso, ne sceglierei uno diverso. Magari Non è Francesca.

I migliori album del 2010
Il 2010, pur nelle pochezza musicale espressa, ci ha regalato un gioiello. Il primo e straordinario lavoro di un'artista emergente, la scozzese Jo Hamilton che ha ricevuto gli elogi dei grandi magazine internazionali, da Mojo a Southsonic fino all'Independent che l'ha definita "oceanica". E' nata una stella vera, altro che Lady Gaga, e in pochi se ne sono accorti.

Fijo mio come te sei ridotto: 'Boogie boogie man' di Pino Daniele.
Noi ce n'eravamo accorti da un bel po': Pino Daniele è andato in pensione, ma lui non lo sa. L'ultimo suo disco Boogie boogie man a tratti è imbarazzante: sorvoliamo sull'operazione, pre-natalizia, dell'antologia con due soli inediti, lo fanno tutti, perché scandalizzarci (ma almeno gli altro hanno il buon gusto di non rovinare gli 'editi'), quel che invece stupisce è la qualità stessa del disco. Crede d'aver fatto opera meritoria rispolverando i suoi classicissimi e facendosi accompagnare all'uopo da compagni di 'sventura'

Natacha Atlas, la nuova Oum Kalthoum? 'Mounqaliba' l'opera ultima.
Qualcuno potrebbe dire che bestemmiamo e gli arabi più conservatori potrebbero giurare che nulla può essere avvicinato a Oum Kalthoum, la più grande cantante egiziana del secolo scorso. Ma tra le due, a parte il momento storico, intercorre una linea comune: innanzi tutto l'amore per le altre culture (la Atlas è nata a Bruxelles, quindi belga, di lingua francofona, la Kalthoum, grazie all'interessamento del poeta Ahmed Rami, studiò per anni la letteratura francese)

L'eterna vita del lord della dance stilosa, Bryan Ferry
L'ultimo album l'aveva pubblicato alla fine del 2006. Un lavoro di cover di Bob Dylan rivisitate con il suo tipico dandysmo vampiresco. A quattro anni di distanza, è uscito il tredicesimo album di questo straordinario e poliedrico musicista inglese (ma non londinese), Bryan Ferry, già leader della storica band dei Roxy Music. Titolo molto molto dandy, Olympia. L'album parte in maniera folgorante con il singolo You can dance.

Quando l'indie, assai spesso, è soporifero: 'Philarmonics' di Agnes Obel.
E' una vecchia questione: ma la musica indipendente quanto vale? Ma ha anche senso porsi una domanda del genere? Ma i dischi che invadono le classifiche possono essere valutati serenamente al di là della spinta pubblicitaria? Gli eroi del rock, in un'epoca come questa, quanto sono credibili e spendibili? Jim Morrison era più 'vergine' di Robbie Williams? E Daniel Johnston quanto è più 'alternativo' di Ligabue?
Potremmo farci notte a rispondere. Ritorno alla prima questione: e qui mi sento di dire che l'indie è attendibile se defilato da un'innata propensione alla sperimentazione a sé stante.

Oh quante cose fa fare l'amore: 'Fidelity' di JP. Chrissie & The Fairground Boys.
Intanto capiamoci con le sigle: JP sta per JP Jones (che non è quello dei Led Zeppelin), cantautore gallese che hai voglia a dire che ha la voce rauca da crooner, ma a me ricorda i singulti burinozzi di Bon Jovi. Chrissie sta per Chrissie Hynde , l'ex leader dei Pretenders, fascinosissima singer che meriterebbe l'eternità solo per aver scritto una canzone come 'I'll stand by you' la quale ha dato la possibilità a Patty Labelle, in occasione di un tributo alle Destiny's Child, di trasformarla in un sanguinoso gospel. The Fairground Boys è un quartetto rock che accompagna degnamente i due.
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