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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Piergiorgio Paterlini

Lasciate in pace Marcello

Einaudi, Pag. 85 Euro 10,00
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Mi chiedo perché mai l’autore (lo chiamo così per non definirlo amabilmente in un altro modo) abbia voluto scrivere una post-fazione.
Per dirci che il finale del libro è diverso da quello che apparve quando uscì la prima volta?
Per illuminarci sul gesto di Marcello?
Perché il dolore di questa storia è un pochino diversa dal dolore dell’altra?
Veniamo dunque a noi.
Lasciate in pace Marcello è un breve resoconto su ciò che un ragazzino, non ancora maggiorenne, fa della sua vita e del suo sentire. E questo ragazzino fugge da casa e si nasconde presso un’Abbazia, non molto lontano da casa.
Basterebbe che Piergiorgio illuminasse la strada con piccole percezioni per restituire al lettore la gioia (sì, per me è stata una gioia) di condividere col protagonista una decisione voluta e sofferta. E desiderata. E invece decide di andare oltre.
C’è anche dell’altro. C’è una confessione che il ragazzo, accettato dai frati, fa ad un uomo, anche lui fuggito,  che ormai considera una sorta di cassaforte segreta. E quell’uomo, secondo quanto ci riferisce lo stesso Paterlini (ma noi lo avevamo capito ad di là dei meccanismi della letteratura), è “l’anomalo”  economista Federico Caffè. “Il 15 aprile 1987, il mercoledì prima di Pasqua, è uscito all’alba dalla sua casa di via Cadlolo, a Roma, a Monte Mario (la stessa via dove c’è l’Hilton) e non si è mai saputo nulla di lui. Sul comodino, l’orologio gli occhiali i documenti. Nella stanza accanto dormiva suo fratello Alfonso, che non si è accorto di niente.
Perché dunque questo accostamento segreto tra un ragazzino e l’economista? Perché al di là di quello che è realmente accaduto (accaduto nella storia di Caffè), c’è una sorta di viatico che accomuna le due esistenze e ce le restituisce sacre e inviolabili.
Perché dunque Marcello scappa dai suoi genitori? Perché decide di essere sincero con la persona che lo protegge?
Perché al di là del racconto (il ragazzo confessa di essersi innamorato di una donna molto più grande… io non riuscivo a immaginarmi, morto o vivo che fossi, privo del pensiero di Lei, del volto di Lei, del corpo di lei ben stampati nella testa e nel cuore) c’è una sofferenza di fondo che non chiede testimonianza.
Quando il professore morì, io avevo venticinque anni. Ero all’Abbazia da nove. Per tutti quei nove anni eravamo stati inseparabili.
Dunque…
Dunque, lasciate in pace Piergiorgio.


di Alfredo Ronci


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