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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Stephen King

The Dome

Sperling & Kupfer, Pag. 1036 Euro 22,00
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Il miglior King da anni a questa parte: dimentichiamo Cell, buttiamo alle ortiche Duma Bay, rigettiamo totalmente quella sorta di ridicolo ripescaggio che è stato Blaze e, se proprio avete tempo perché 1036 pagine sono davvero un evento monstre, dedichiamoci a The Dome. Che ripesca le atmosfere de Le creature del buio e de L'ombra dello scorpione.

E che qualcuno, con poca fantasia diciamocelo, potrebbe definire un romanzo fantascientifico, se non addirittura del filone catastrofico.

No: The Dome è un bel saggio sociologico (la pippa buonista e moralista delle ultime pagine il nostro eroe ce la poteva risparmiare, ma tant'è...) che personalmente consiglierei alla teppa leghista e a tutto il carro di tespi della loro politica giustizialista, allarmista ed emergenziale.

The dome è una cupola che all'improvvisa isola un intero paese del Maine (ça va sans dire) dal resto degli Stati Uniti e quindi dal mondo intero (ça va sans dire). Nulla può il governo americano (s'intravede qua e là la figura nuova di Obama); nemmeno il loro arsenale militare – i missili Cruise – possono scalfire questa sorta di campana di vetro che divide la civiltà dal terrore. Sì perché, all'interno della strana struttura che alla fine si avrà modo di capire che ha origini aliene, succede il finimondo. Che è quello che poi avviene nelle situazioni di isolazionismo politico e nei momenti di assoluta emergenza (da noi capita anche in presenza di fetecchie): ecco costituirsi da una parte (quella reazionaria, fanaticamente religiosa e sottoculturata) le ronde militari (Maroni becca e porta a casa!), organizzate da un ambiguo consigliere del luogo, trafficante anche di anfetamine. Dall'altra un Comitato rivoluzionario di Chester's Mill (pag.779) formato da persone illuminate, progressiste e responsabili (medici, infermiere, giornaliste ed un 'vecchio' soldato che ha fatto la guerra in Iraq, che prova imbarazzo per la tragedia di Falluja e che è personalmente incaricato da Obama di tenere sotto controlla la cittadinanza isolata).

Raccontato così il libro può sembrare una barzelletta: au contraire. Si diceva il miglior King da tanti anni, che ribadisce, se qualcuno non l'avesse ancora capito, la sua natura profondamente antimilitarista (E' di nuovo come in Iraq, solo che questa volta lei è a Washington e non sul campo e mi sembra che brancoli nel buio come tutti i militari che stanno dietro a una scrivania. Legga il mio labiale signore: una conoscenza parziale è peggio dell'ignoranza). Che per l'ennesima volta offre uno spaccato sociologico degli Usa (chi meglio di lui negli ultimi trent'anni ha raccontato la provincia americana?) con tutti i suoi pro e tutti i suoi contro (E poi è storia vecchia per tutti noi: le due grandi specialità d'America sono i demagoghi e il rock'n roll, e abbiamo ascoltato gli uni e l'altro più che a sufficienza). Che a volte sa essere anche ingenuo, ma solo perché è 'abituato' a vivere nel suo paese (Perché nell'immediato futuro avere un giornale non è nel miglior interesse della città)... a meno che non ci sia qualcuno che abbia in mano quasi tutti i mezzi di informazione, e allora la situazione è diversa, ma sono dettagli...).

Insomma The Dome offre spunti a volontà (contesterei la tirata pessimista delle ultime pagine, dove in pieno piagnisteo buonista, una delle protagoniste se ne esce fuori con la battuta: Non credo che si possa averla vinta contro una moltitudine, quando è preda della crudeltà. Ma io direi di sì: in fondo nazismo, stalinismo, fascismo ce li siamo lasciati alle spalle. Semmai è più difficile averla vinta con chi ti fa credere che queste cose non ci sono, altro che solo crudeltà!).

Insomma: un buon King per gli aficionados, per i sociologi, per i politologi, per i puri di spirito, ma anche per chi spirito non ne ha, e soprattutto per quelli che non si lasciano infinocchiare dalle puttanate mediologiche di Saviano in odor di letteratura. Assolutamente rivoltante.

Meglio allora spazientirsi con 1036 pagine di ordito kinghiano (perché poi, siamo onesti, arrivi alla fine che hai la lingua di fuori - e ringraziando pure l'editor che pare abbia tagliato il dattiloscritto riducendolo dal dinosauro originale a una bestia un pochino più maneggevole).

Chiamala maneggevole: m'è venuta l'epicondilite a tenerlo su!



di Alfredo Ronci


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Gustoso


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Io no. Tra l'altro, mi chiedo, dov'è l'utilità? Mancanza di ispirazione? Se diamo retta ai romanzi che sforna con una regolarità svizzera, sembrerebbe proprio il contrario (discorso diverso se poi andiamo a valutare singolarmente le opere. Cell, per esempio, il suo ultimo "contemporaneo" era talmente brutto da far rizzare i peli sulle braccia... sempre per chi ce l'ha).

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Non è un caso che si consigliava, con tutta onestà, la pensione, perché il gruzzoletto messo da parte da King consente una vecchiaia senza problemi nonostante la terribile incognita di un mondo senza petrolio.

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