RECENSIONI
Eric Fottorino
Baci da cinema
Nutrimenti, Pag. 183 Euro 16.00
C'è un modo di fare letteratura che non appartiene a nessuno, ma per una sorta di patto col diavolo o chissa con chi, sembra appartenere ad un mondo quasi cristallizzato.
Potrebbe sembrare un paradosso, ma vi assicuro che non lo è. Dove – nella letteratura appunto – tutto sembra convergere in una definizione standard, in una conchiusione che non può essere altrimenti (e quindi si potrebbe obiettare che viaggia su un binario prestabilito e continuando la metafora, che è probabile che arrivi a destinazione anche in perfetto orario).
Mi piace tenere in sospeso il giudizio sul libro e continuare la tiritera (perché di questo si tratta) dove – sempre la letteratura – contiene in sé traccia di un passato glorioso e crede, nonostante non ci siano i presupposti, che si possa rinvigorire il collante o tentare la riverniciatura.
Nel caso specifico, Baci da cinema, l'elemento che torna (a volte ritornano, epperò) è la francesità. Neologismo che è chiaro anche ai più stolti. Come se si chiedesse: lei sa chi è la Carrà?
Per quanto 'neo', la parola è emblematica, quanto lo sarebbe, con o senza originalità, con o senza grettezza, 'paraculismo' se si trattasse di napoletani o 'indolenza' se si trattasse di romani.
Sì, dunque francesità, per indicare l'allure dei transalpini: la sostanza insita nel gesto, nell'azione, finanche nel respiro.
Si respira francesemente: non lo sapevate?
Eric Fottorino, giornalista di Le Monde (sul quale un critico faceto ha detto che è un grande scrittore perché scrive cose che non hanno nulla a che vedere col giornalismo... ma si può essere più scemi?) ha costruito una storia tutta 'francese' che a lui stesso faccio riassumere prendendola da pagina 78: Mayliss parlava poco di suo marito. Lo amava. Mi amava. Le cose stavano così. Ero venuto a sapere che si chiamava Mayliss de Mérandol, e il suo nome da ragazza mi aveva subito proiettato in un mondo fanciullesco, fatto di mandolini e farandole. Credo che non appartenesse al marito più di quanto non apparteneva a me... e che ha consegnato al suo editore come prodotto, anzi, pacchetto, che andava semplicemente sciolto dal nastro che lo teneva e approvato così com'era: perché è elegante, ma non inusuale, perché parla di film e di attrici ad una 'nticchia dai cahiers du cinema, perché i protagonisti si ristorano non al bistro e nemmeno alla brasserie, ma al ristorante, perché la storia è giocata sulla passione che divora, ma che nonostante la si voglia o la si pensi squassante, qui lo è senza 'craquelures', come direbbe Arbasen (alla francese ça va sans dire).
Diceva Prevert: Mille anni e poi mille/ non possono bastare/ per dire/ la microeternità/ di quando m'hai baciato/ di quando t'ho baciata/ un mattino nella luce dell'inverno/ al Parc Montsouris a Parigi/ a Parigi/ sulla terra/ sulla terra che è un astro.
Non è francesità questa? Un poeta di Danzica avrebbe potuto mai scrivere così? Fottorino cammina sull'altra sponda della Senna, ma naviga pari coi predecessori.
Tocco frisson.
Luci ed ombre. Sempre ad un passo dalla mediocrità, come Prevert.
Ma mediocre non è, anzi.
di Alfredo Ronci
Potrebbe sembrare un paradosso, ma vi assicuro che non lo è. Dove – nella letteratura appunto – tutto sembra convergere in una definizione standard, in una conchiusione che non può essere altrimenti (e quindi si potrebbe obiettare che viaggia su un binario prestabilito e continuando la metafora, che è probabile che arrivi a destinazione anche in perfetto orario).
Mi piace tenere in sospeso il giudizio sul libro e continuare la tiritera (perché di questo si tratta) dove – sempre la letteratura – contiene in sé traccia di un passato glorioso e crede, nonostante non ci siano i presupposti, che si possa rinvigorire il collante o tentare la riverniciatura.
Nel caso specifico, Baci da cinema, l'elemento che torna (a volte ritornano, epperò) è la francesità. Neologismo che è chiaro anche ai più stolti. Come se si chiedesse: lei sa chi è la Carrà?
Per quanto 'neo', la parola è emblematica, quanto lo sarebbe, con o senza originalità, con o senza grettezza, 'paraculismo' se si trattasse di napoletani o 'indolenza' se si trattasse di romani.
Sì, dunque francesità, per indicare l'allure dei transalpini: la sostanza insita nel gesto, nell'azione, finanche nel respiro.
Si respira francesemente: non lo sapevate?
Eric Fottorino, giornalista di Le Monde (sul quale un critico faceto ha detto che è un grande scrittore perché scrive cose che non hanno nulla a che vedere col giornalismo... ma si può essere più scemi?) ha costruito una storia tutta 'francese' che a lui stesso faccio riassumere prendendola da pagina 78: Mayliss parlava poco di suo marito. Lo amava. Mi amava. Le cose stavano così. Ero venuto a sapere che si chiamava Mayliss de Mérandol, e il suo nome da ragazza mi aveva subito proiettato in un mondo fanciullesco, fatto di mandolini e farandole. Credo che non appartenesse al marito più di quanto non apparteneva a me... e che ha consegnato al suo editore come prodotto, anzi, pacchetto, che andava semplicemente sciolto dal nastro che lo teneva e approvato così com'era: perché è elegante, ma non inusuale, perché parla di film e di attrici ad una 'nticchia dai cahiers du cinema, perché i protagonisti si ristorano non al bistro e nemmeno alla brasserie, ma al ristorante, perché la storia è giocata sulla passione che divora, ma che nonostante la si voglia o la si pensi squassante, qui lo è senza 'craquelures', come direbbe Arbasen (alla francese ça va sans dire).
Diceva Prevert: Mille anni e poi mille/ non possono bastare/ per dire/ la microeternità/ di quando m'hai baciato/ di quando t'ho baciata/ un mattino nella luce dell'inverno/ al Parc Montsouris a Parigi/ a Parigi/ sulla terra/ sulla terra che è un astro.
Non è francesità questa? Un poeta di Danzica avrebbe potuto mai scrivere così? Fottorino cammina sull'altra sponda della Senna, ma naviga pari coi predecessori.
Tocco frisson.
Luci ed ombre. Sempre ad un passo dalla mediocrità, come Prevert.
Ma mediocre non è, anzi.
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