RECENSIONI
Gerald Locklin
Charles Bukowski a botta sicura
Leconte, Pag.175 Euro 10,00
Personalmente non ho mai amato Charles Bukowski. E non chiedetemi il perché, non saprei dirlo con esattezza. Credo sia per una questione di "affinità elettive". Ma è una lettura quella dello scrittore americano che risale a molti anni fa, quando ero tentato giovanilisticamente dal fascino della letteratura d'oltreoceano. Ma se Hemingway, Steinbeck, Miller e parte della cultura della beat generation hanno comunque esercitato un richiamo, nulla degli scritti dell'autore di Storie di ordinaria follia mi ha in effetti stregato.
Ricordo però una frase che, nella quotidiana rappresentazione con cui si ha a che fare, mi porto dietro, come molti farebbero col proprio cane o addirittura con la propria coscienza: Lo stato della cucina rappresenta lo stato della mente.
Non sono nemmeno convinto della giustezza della cosa, troppo tranchant, troppo netta nella sua apparente irriguardosità, eppure ha la seduzione delle cose imperfette, ma luminose.
Gerald Locklin, amico e complice del vecchio "Buk" tenta di costruire un profilo dello scrittore lontano da quelli che potrebbero essere stereotipi letterari, disdegnando una ricucitura moralista della statura dell'uomo (qualcuno avrebbe potuto sperimentare una cosa del genere, quando chi si "dipinge" conserva l'aura del maledettismo a tutti i costi) che avrebbe fatto a cazzotti col personaggio.
Conserva di Bukowski la figura che è: amato e odiato, appartato e sbruffone, lupo solitario e icona letteraria. E offrendo un panorama d'insieme della società che lo ha accolto e "sopportato" in qualche modo fino alla sua morte, non del tutto edificante: Bisognerebbe vedere con quale disprezzo sono trattati gli scrittori dalla gente di Hollywood per poter ammirare quei pochi che sanno riconoscere il valore umano e letterario (pag.138).
Non voglio sminuire l'operazione, ma il libro di Locklin non toglie e non aggiunge nulla alla persona Bukowski. Sono convinto che chi ha amato le sue storie border line continuerà ad apprezzarle, chi invece non ha subito la malìa delle sue "costruzioni" tutto sommato rimarrà freddo alle istanze celebrative dell'autore di questo libro.
Una cosa va però detta: si avverte nella cronaca di Locklin un afflato per nulla propagandistico, men che mai d'interesse. Nel senso che la stima che ha nei confronti del poeta-scrittore è genuina e mai sopra le righe, di chi ha "goduto" in effetti dell'amicizia, del sostegno e della vicinanza di un uomo a volte scomodo e scontroso, mai disonesto.
Non è un caso che la parte più bella e sentita del libro è quella dopo la morte di Bukowski, quando la contiguità col parentado da un'idea dell'estensione di sentimenti veri e sentiti. Più che la mancanza di un artista si avverte un vuoto più generale e definito. Solo come i veri amici possono provare.
Rimane comunque un libro adatto più ai fan che ai detrattori. E non poteva che essere così.
di Alfredo Ronci
Ricordo però una frase che, nella quotidiana rappresentazione con cui si ha a che fare, mi porto dietro, come molti farebbero col proprio cane o addirittura con la propria coscienza: Lo stato della cucina rappresenta lo stato della mente.
Non sono nemmeno convinto della giustezza della cosa, troppo tranchant, troppo netta nella sua apparente irriguardosità, eppure ha la seduzione delle cose imperfette, ma luminose.
Gerald Locklin, amico e complice del vecchio "Buk" tenta di costruire un profilo dello scrittore lontano da quelli che potrebbero essere stereotipi letterari, disdegnando una ricucitura moralista della statura dell'uomo (qualcuno avrebbe potuto sperimentare una cosa del genere, quando chi si "dipinge" conserva l'aura del maledettismo a tutti i costi) che avrebbe fatto a cazzotti col personaggio.
Conserva di Bukowski la figura che è: amato e odiato, appartato e sbruffone, lupo solitario e icona letteraria. E offrendo un panorama d'insieme della società che lo ha accolto e "sopportato" in qualche modo fino alla sua morte, non del tutto edificante: Bisognerebbe vedere con quale disprezzo sono trattati gli scrittori dalla gente di Hollywood per poter ammirare quei pochi che sanno riconoscere il valore umano e letterario (pag.138).
Non voglio sminuire l'operazione, ma il libro di Locklin non toglie e non aggiunge nulla alla persona Bukowski. Sono convinto che chi ha amato le sue storie border line continuerà ad apprezzarle, chi invece non ha subito la malìa delle sue "costruzioni" tutto sommato rimarrà freddo alle istanze celebrative dell'autore di questo libro.
Una cosa va però detta: si avverte nella cronaca di Locklin un afflato per nulla propagandistico, men che mai d'interesse. Nel senso che la stima che ha nei confronti del poeta-scrittore è genuina e mai sopra le righe, di chi ha "goduto" in effetti dell'amicizia, del sostegno e della vicinanza di un uomo a volte scomodo e scontroso, mai disonesto.
Non è un caso che la parte più bella e sentita del libro è quella dopo la morte di Bukowski, quando la contiguità col parentado da un'idea dell'estensione di sentimenti veri e sentiti. Più che la mancanza di un artista si avverte un vuoto più generale e definito. Solo come i veri amici possono provare.
Rimane comunque un libro adatto più ai fan che ai detrattori. E non poteva che essere così.
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