RECENSIONI
Carmen Boullosa
Cucinati un uomo
Edizioni Arcoiris, Cura e traduzione di Brigidina Gentile, Pag. 96 Euro 10,00
Di quanta cura possa essere circondato un testo nella preparazione ad uso del lettore è esempio questo delizioso libricino davvero ben… cucinato!
Poco conosciuta dal pubblico italiano, Carmen Boullosa è una rappresentante di spicco della letteratura messicana, tanto da ricevere l’apprezzamento di Roberto Bolaño. Autrice a tutto tondo, di narrativa poesia e teatro, offre qui una pièce teatrale breve ma di grande intensità. Devo premettere che il testo, appena uscito nella traduzione italiana, non è però opera recente dell’Autrice, che lo ha prodotto negli anni ’80. Questo può far apparire datati alcuni aspetti del messaggio femminista che vi è contenuto, ma non toglie efficacia al tema del femminile che al di là di ogni contesto conserva la sua pregnanza.
La presenza di due soli personaggi, l’unità di tempo luogo e azione, il ritmo concitato e ipnotico, fanno sì che il lettore (e lo spettatore, perché l’opera è destinata alla rappresentazione ed è stata più volte rappresentata) si senta da subito intrappolato nel non-luogo in cui agiscono le due protagoniste.
Vale la pena di citare la premessa dell’Autrice che definisce l’ambientazione.
Due donne si svegliano in una casa senza porte. Entrambe si sono addormentate all’età di dieci anni, ma, svegliandosi, ne hanno ventitré, e non per aver dormito il tempo corrispondente alla loro crescita, ma perché erano state condotte a una cerimonia (…) abbastanza particolare.
Il fatto è che le due ragazzine sono state trasformate non solo in donne, che è un cambiamento già abbastanza impegnativo, ma anche in giovani streghe.
Il dato surreale dà al testo un impatto drammatico, che rende evidente l’aspetto straordinario del tema. Ma qui è il bello: il tema reale non è un fatto fiabesco o esoterico, ma semplicemente la trasformazione a cui ogni donna può andare incontro nella sua vita. La pubertà che la catapulta in una nuova realtà biologica, da bambina a donna fertile, è già di per sé una deflagrazione straordinaria. Ma c’è anche un altro passaggio, psicologico e culturale, che è la presa di coscienza e la consapevolezza di poter scegliere e disporre di sé. Il primo passaggio è legato ai misteri della natura e alla loro dimensione rituale e mitica. Il secondo a un’istanza di emancipazione che le donne hanno vissuto da protagoniste o da vittime nelle alterne vicende di un’umanità patriarcale. A volte reprimendola e a volte manifestandola, con pochi successi e grandi tributi di lacrime e sangue.
Nessuno di questi aspetti viene trattato o spiegato in un discorso razionale, ma emerge naturalmente da ciò che le due ragazze comunicano con l’urgenza delle emozioni e delle sensazioni che scaturiscono dalla loro carne. E’ dunque scongiurato ogni aspetto didascalico in favore di un impatto diretto, di pancia, da cui scaturisce una grande efficacia letteraria e teatrale. Per questo arriva in profondità.
Ufe: Quando mi sono svegliata, la bocca, il naso… non era stato solo quello che mi avevano dato da bere dopo la cerimonia, è che avevo anche un odore diverso, odoravo differentemente, la testa mi pesava in modo diverso (…) E quando mi sono vista allo specchio…
Wine: Ma questo è il meno che possa capitare. Voglio dire che, non in una notte, ma in un tempo più lungo, avremmo comunque smesso di essere bambine e il nostro corpo sarebbe cambiato.
Ufe: Sì, certo, ma non in una notte. Non così.
Wine: Già, non così… Senti, stanotte mi hanno detto che avevano fatto il tuo beauty con la pelle di quando eri piccola.
Ufe: Con la mia pelle!
Dettagli grotteschi e inquietanti richiamano alla mente certi riti di passaggio tribali, violenti non per gratuita crudeltà ma perché dovevano sancire lo strappo di un cambiamento radicale e irreversibile. Le due bambine vengono strappate alle loro famiglie ma anche a se stesse, al mondo infantile. Nel dialogo danno voce a due istanze diverse. L’una si lamenta e rimpiange, l’altra comincia ad apprezzare i vantaggi della nuova condizione. E’ un percorso di consapevolezza in cui il cambiamento smette di essere subìto e diventa anzi strumento di possibili scelte. Soprattutto riguardo alla maternità, che può essere vista come una scelta (in un senso o nell’altro) anziché come un destino.
Come dicevo, il libro è stato confezionato in maniera accurata e ricca, direi quasi affettuosa. A cominciare dal lavoro della curatrice Brigidina Gentile che ha preso personalmente contatto con la Boullosa instaurando con lei un rapporto di particolare affinità. Oltre alla sua introduzione c’è una autopresentazione dell’Autrice stessa, e in chiusura un commento di E.C. Zamora Pérez che ne approfondisce la simbologia. Piatto prelibato per palati fini.
di Giovanna Repetto
Poco conosciuta dal pubblico italiano, Carmen Boullosa è una rappresentante di spicco della letteratura messicana, tanto da ricevere l’apprezzamento di Roberto Bolaño. Autrice a tutto tondo, di narrativa poesia e teatro, offre qui una pièce teatrale breve ma di grande intensità. Devo premettere che il testo, appena uscito nella traduzione italiana, non è però opera recente dell’Autrice, che lo ha prodotto negli anni ’80. Questo può far apparire datati alcuni aspetti del messaggio femminista che vi è contenuto, ma non toglie efficacia al tema del femminile che al di là di ogni contesto conserva la sua pregnanza.
La presenza di due soli personaggi, l’unità di tempo luogo e azione, il ritmo concitato e ipnotico, fanno sì che il lettore (e lo spettatore, perché l’opera è destinata alla rappresentazione ed è stata più volte rappresentata) si senta da subito intrappolato nel non-luogo in cui agiscono le due protagoniste.
Vale la pena di citare la premessa dell’Autrice che definisce l’ambientazione.
Due donne si svegliano in una casa senza porte. Entrambe si sono addormentate all’età di dieci anni, ma, svegliandosi, ne hanno ventitré, e non per aver dormito il tempo corrispondente alla loro crescita, ma perché erano state condotte a una cerimonia (…) abbastanza particolare.
Il fatto è che le due ragazzine sono state trasformate non solo in donne, che è un cambiamento già abbastanza impegnativo, ma anche in giovani streghe.
Il dato surreale dà al testo un impatto drammatico, che rende evidente l’aspetto straordinario del tema. Ma qui è il bello: il tema reale non è un fatto fiabesco o esoterico, ma semplicemente la trasformazione a cui ogni donna può andare incontro nella sua vita. La pubertà che la catapulta in una nuova realtà biologica, da bambina a donna fertile, è già di per sé una deflagrazione straordinaria. Ma c’è anche un altro passaggio, psicologico e culturale, che è la presa di coscienza e la consapevolezza di poter scegliere e disporre di sé. Il primo passaggio è legato ai misteri della natura e alla loro dimensione rituale e mitica. Il secondo a un’istanza di emancipazione che le donne hanno vissuto da protagoniste o da vittime nelle alterne vicende di un’umanità patriarcale. A volte reprimendola e a volte manifestandola, con pochi successi e grandi tributi di lacrime e sangue.
Nessuno di questi aspetti viene trattato o spiegato in un discorso razionale, ma emerge naturalmente da ciò che le due ragazze comunicano con l’urgenza delle emozioni e delle sensazioni che scaturiscono dalla loro carne. E’ dunque scongiurato ogni aspetto didascalico in favore di un impatto diretto, di pancia, da cui scaturisce una grande efficacia letteraria e teatrale. Per questo arriva in profondità.
Ufe: Quando mi sono svegliata, la bocca, il naso… non era stato solo quello che mi avevano dato da bere dopo la cerimonia, è che avevo anche un odore diverso, odoravo differentemente, la testa mi pesava in modo diverso (…) E quando mi sono vista allo specchio…
Wine: Ma questo è il meno che possa capitare. Voglio dire che, non in una notte, ma in un tempo più lungo, avremmo comunque smesso di essere bambine e il nostro corpo sarebbe cambiato.
Ufe: Sì, certo, ma non in una notte. Non così.
Wine: Già, non così… Senti, stanotte mi hanno detto che avevano fatto il tuo beauty con la pelle di quando eri piccola.
Ufe: Con la mia pelle!
Dettagli grotteschi e inquietanti richiamano alla mente certi riti di passaggio tribali, violenti non per gratuita crudeltà ma perché dovevano sancire lo strappo di un cambiamento radicale e irreversibile. Le due bambine vengono strappate alle loro famiglie ma anche a se stesse, al mondo infantile. Nel dialogo danno voce a due istanze diverse. L’una si lamenta e rimpiange, l’altra comincia ad apprezzare i vantaggi della nuova condizione. E’ un percorso di consapevolezza in cui il cambiamento smette di essere subìto e diventa anzi strumento di possibili scelte. Soprattutto riguardo alla maternità, che può essere vista come una scelta (in un senso o nell’altro) anziché come un destino.
Come dicevo, il libro è stato confezionato in maniera accurata e ricca, direi quasi affettuosa. A cominciare dal lavoro della curatrice Brigidina Gentile che ha preso personalmente contatto con la Boullosa instaurando con lei un rapporto di particolare affinità. Oltre alla sua introduzione c’è una autopresentazione dell’Autrice stessa, e in chiusura un commento di E.C. Zamora Pérez che ne approfondisce la simbologia. Piatto prelibato per palati fini.
di Giovanna Repetto
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