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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Cristiano Cavina

I frutti dimenticati

Marcos y Marcos, Pag. 201 Euro 14,50
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Il romanzo si chiude con questa frase: E' sempre stato così, da quando sono nato. Ho bisogno di una vita intera, solo per cominciare a chiedere scusa.

Sarà, ma personalmente non lo avrei mai scritto. Per me vale sempre il principio, soprattutto se si è in due (ma in questo romanzo troppi ne sono!), che le colpe debbano sempre essere suddivise in egual misura. E lo credo anche nei casi in cui il fallimento sia da addebitare quasi interamente a chi se l'è procurato.

Perché poi dovrebbe chiedere scusa il protagonista del libro del Cavina? Innanzi tutto sgombriamo il campo da equivoci: il romanzo in questione è autobiografico. Da ciò: chi deve farsi perdonare qualcosa è proprio lo scrittore medesimo. Ma se son vere le cose che dice, se fossi prete lo assolverei, altro che Padri Nostri e Ave Marie. Dal momento che non lo sono, lo assolvo lo stesso con formula piena perché reati grossi non ne ha commessi, anzi, a ben vedere il Cavina si è comportato in modo civile in un consesso civile tutto sommato dignitoso.

E' un uomo di trentasette anni che nel momento in cui scopre che la moglie aspetta un bambino (meno male che l'autore ci risparmia la 'pippa' su cosa fare del neonato che si sospetta possa nascere non normale dal momento che la mamma è affetta da toxoplasmosi) viene raggiunto da una telefonata di una persona che gli confessa di essere il padre, che il poveraccio, tra l'altro, non ha mai conosciuto in vita sua.

La trama procede su tre binari (con l'invidia tutta di Trenitalia).

Il primo: cosa rappresenta la nascita di un bambino (che poi sarà sano...pfuiiiii) quando il rapporto con la donna che l'ha fatto nascere non ha più ragione d'essere?

Il secondo: può un uomo riallacciare rapporti concreti col padre che non ha mai visto (prima della famosa telefonata) e che tra l'altro ha i giorni contati perché ha una brutta malattia?

Il terzo: c'è qualcosa che lega l'essere-uomo (in questo caso pure scrittore) con la propria infanzia, caratterizzata soprattutto da figure femminili, e da un costante rapporto col sacro tradizionale: chiese, preti, colonie marine e sensi di colpa?

Dice la quarta di copertina: Un pozzo scintillante di amicizie e passioni, racconti e personaggi, avventure reali ed immaginarie: piante officinali dai profumi secolari e sogni che volano come mongolfiere, nonne dai poteri speciali e millenni di battaglie nascoste tra le foglie.

La mia professoressa d'italiano diceva che quando facevo i temi avevo un piglio avvocatesco: non l'ho mai messo da parte. Mi viene spontaneo, in questo caso, affermare che dietro tutta la vicenda del Cavina (perché abbiamo detto che il romanzo è fortemente autobiografico) ci siano i resti di un sentire catechetico: non si spiegherebbero se no questi continui rigurgiti di sensi di colpa.

Or dunque: aveva ragione la mia professoressa d'italiano? Ma il libro mi è piaciuto? E lo stile di Cavina com'è? E questo continuo rimembrare ha qualcosa di classicheggiante? Ma c'è il ricongiungimento tra padre e figlio? Ci sarebbe pure lo Spirito Santo?

Rispondo con una formula: Ego te absolvo etc etc... replica alla perfezione a tutte le domande e soprattutto all'ultima.



di Alfredo Ronci


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