RECENSIONI
Luciano Bianciardi
Il fuorigioco mi sta antipatico
Stampa Alternativa, Pag. 379 Euro 16,50Sì vero, ma Bianciardi, in quel breve periodo che va dal 28 settembre del 1970 al 15 novembre 1971 (il lunedi successivo alla sua morte) – tanto durò la sua collaborazione al quotidiano – elabora (o forse no, il verbo non si addice al "grossetano", fresco della sua verve istintiva e vetriolinica ), comunque riassume una storia d'Italia che non è quella dei pochi mesi trascorsi nella redazione bolognese (negli anni '70), ma quella che somma il passato ed il presente ad una lungimirante visione del futuro.
L'ho scritto nel mio ultimo romanzo [Aprire il fuoco n.d.r.] e lo ripeto volentieri: se vogliamo che le cose cambino, occorre occupare banche e far saltare la televisione. Non c'è altra possibile soluzione rivoluzionaria.
Perché parlavo all'inizio di frattura interiore: perché al di là della sensazione, pur se scontata ed inevitabile, del trascorrere del tempo – qui siamo in piena euforia pallonara, il 1970 ha regalato al nostro paese una semifinale dei mondiali di calcio che tutt'ora viene indicata come una delle partite più suggestive della storia del calcio – le cronache, e quindi le risposte, di Bianciardi sono prodrome di cambiamenti epocali se non addirittura rivoluzionari.
Il paese che lo scrittore ci racconta, attraverso la brillante "relazione" con un pubblico evidentemente affezionato (e quasi nozionistico nel chiedere ossessivamente classifiche di merito e di capacità di campioni,letterati, artisti di ogni genere) è in piena trasformazione. Si respira già l'aria della "strategia della tensione" (ma Bianciardi sa (!) che Pinelli non si è buttato dalla finestra da solo, ma spinto da qualcuno che era nella stanza e che se non altro avrebbe dovuto almeno impedirlo), si respira un malumore ed un accumulo arrogante e distorto del potere che per lucidità e sagacia può avere un solo altro punto di incontro: Petrolio di Pasolini.
Ma Il fuorigioco mi sta antipatico si fa amare perché all'interno ritroviamo considerazioni e giudizi che spesso gli intellettuali di grido e di cordata (o gli stessi giornalisti) sottacevano per discrezione e "quieto vivere", ma che col tempo poi assumono un ridisegno della verità obbligatorio e sostanzioso ed una mappa "sociale" del nostro vissuto. Pensiamo alle valutazioni che il "toscanaccio" da di alcuni scrittori (Dacia Maraini è una donna graziosa che usurpa premi letterari a Palma di Maiorca. Li usurpa, perché nel '62, candidati al premio erano Lucio Mastronardi e io. Nella giuria figurava Alberto Moravia) di alcuni attori (E convengo con Lei che Alberto Sordi...quando gli danno il mestolo in mano si lavora la pignatta a tutto suo uso e consumo. Insomma non perde occasione per farsi pubblicità senza spendere una lira)di alcune istituzioni (Il premio Nobel, da qualche anno, lo assegnano non per premiare qualcuno. Ma per fare dispetto a qualcun altro).
Il fuorigioco mi sta antipatico è una pentola dove ribolle una pietanza che, ad uno sguardo disattento e superficiale, può sembrare di routine e di genere (soprattutto lo sport, il calcio, la malattia del calcio). In verità un minestrone appetitoso che raccoglie l'humus di uno scrittore straordinario (ma sì lo è dal punto di vista linguistico, perché è questo che noi vogliamo dire quando si addita la straordinarietà di un evento letterario) per nulla "ridotto" o costretto ad una routine giornalistica.
Ad un lettore che gli chiedeva come mai non scrivesse "seriamente" di sport e raccontasse la trama vera di quella esaltante commedia umana, Bianciardi rispondeva: Lo sport fa parte della vita, ma uno scrittore, per l'appunto, sceglie come tema la vita.
Ma la vita fatta non solo di trionfi o sconfitte dei privilegiati, ma anche delle disgrazie, vere, del proletariato a cui il grossetano era molto vicino: Caro signor Bignardi, no, un operaio che cade da un'impalcatura, o un minatore distrutto da un'esplosione di grisou, sono infinitamente più degni della nostra comprensione, rispetto al campione che si rompe una gamba giocando al calcio. Intendiamoci, la sorte di Liguori mi rattrista, ma mi rattristò, a suo tempo, la sorte dei 43 operai, tutti miei amici, che persero la vita a Ribolla.
di Alfredo Ronci
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Figurarsi, aggiungiamo noi, se vivesse in questi tempi di tonitruante nullità, di vuoto pneumatico come direbbe Verdone.
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