RECENSIONI
Valerio Varesi
Il paese di Saimir
Verde nero, Pag. 312 Euro 13,00
Si legge nella postfazione: Il ciclo illegale del cemento è una delle principali fonti di finanziamento per le organizzazioni criminali, mafiose e non. Dalle cave abusive all'abusivismo edilizio, dagli appalti per opere pubbliche alle truffe ai fondi pubblici, passando per l'utilizzo di lavoratori in nero. La prova di questo coinvolgimento è sotto gli occhi di tutti, soprattutto al Sud, con un territorio devastato da orrende colate di cemento che non ha altra giustificazione se non quelle di soddisfare appetiti economici. A lanciare l'allarme sono soprattutto le massime istituzioni competenti in tema di criminalità organizzata.
Non vorrei mettere il dito nella piaga, ma come spesso succede nel nostro paese, la realtà supera la fantasia: in questa denuncia (tra l'altro encomiabile l'operazione di 'verde nero' di offrire noir costantemente legati a problemi veri di questo straccio di Italia, anche se poi è sullo sfruttamento del 'genere' che si potrebbe obiettare qualcosa, ma ci si tornerà in un contesto diverso) nessuno avrebbe pensato di metterci le colate di cemento con la sabbia del mare (a fare una battuta: – e perdonatemi se me lo permetto in una situazione drammatica come quella che si è verificata in Abruzzo – bel cimento!).
Tutto il resto va bene. Cioè va male, ma la postfazione dice davvero qual è la situazione effettiva della nostra bella Italia e completa il discorso fatto dal Varesi nel suo noir-non noir ordinato e civile.
Trama: quattro extracomunitari lavorano in uno stabile-instabile. Un crollo improvviso incastra uno di loro: il più giovane, un sedicenne albanese che, come tutti gli esseri umani di questo mondo, piuttosto che pensare di morire sotto tonnellate di calcinazzi, ha riempito la sua testa di sogni e speranze. Morirà soprattutto perché i compagni di lavoro, per paura di essere rimpatriati, non denunceranno l'accaduto e perché le 'maestranze' (curioso il termine: in genere s'intende complesso degli operai specializzati che fanno da maestri ad apprendesti. Derivazione ovvia da 'maestria' e 'abilità'... ça va sans dire) non interverranno perché sanno che quando ci scappa il morto sono cazzi (cazzi per modo di dire perché è ormai è statistica che i lavoratori 'regolari' perdono la vita, nel novanta per cento dei casi, proprio nel primo giorno di lavoro!).
Questo è il sunto del romanzo. Di facile lettura, nel senso che scorre veloce in modo abile e senza intoppi, e che rappresenta davvero uno spaccato sociale di questi nostri tempi.
Va fatta una precisazione, riprendendo lo spunto precedente: la recensione non 'puntella' (ancora ironia, ma oggi m'ha preso così) la drammatica situazione che ha visto l'Abruzzo subire una tragedia di vaste proporzioni, ma conferma che in questo paese le denunce di malefatte non sono mai abbastanza. Non scriviamo, e io per primo, per il piacere della conferma: semmai il contrario, nella speranza che quel che si dice non avvenga.
P.S. Non c'entra nulla ma cade a cecio: ma è vero che Del Giudice si è ritirato dal premio Strega proprio perché le voci che lo davano sicuro vincitore lo hanno infastidito? Sarebbe una vittoria della letteratura tutta, al di là dell'effettivo valore dello Strega stesso.
di Alfredo Ronci
Non vorrei mettere il dito nella piaga, ma come spesso succede nel nostro paese, la realtà supera la fantasia: in questa denuncia (tra l'altro encomiabile l'operazione di 'verde nero' di offrire noir costantemente legati a problemi veri di questo straccio di Italia, anche se poi è sullo sfruttamento del 'genere' che si potrebbe obiettare qualcosa, ma ci si tornerà in un contesto diverso) nessuno avrebbe pensato di metterci le colate di cemento con la sabbia del mare (a fare una battuta: – e perdonatemi se me lo permetto in una situazione drammatica come quella che si è verificata in Abruzzo – bel cimento!).
Tutto il resto va bene. Cioè va male, ma la postfazione dice davvero qual è la situazione effettiva della nostra bella Italia e completa il discorso fatto dal Varesi nel suo noir-non noir ordinato e civile.
Trama: quattro extracomunitari lavorano in uno stabile-instabile. Un crollo improvviso incastra uno di loro: il più giovane, un sedicenne albanese che, come tutti gli esseri umani di questo mondo, piuttosto che pensare di morire sotto tonnellate di calcinazzi, ha riempito la sua testa di sogni e speranze. Morirà soprattutto perché i compagni di lavoro, per paura di essere rimpatriati, non denunceranno l'accaduto e perché le 'maestranze' (curioso il termine: in genere s'intende complesso degli operai specializzati che fanno da maestri ad apprendesti. Derivazione ovvia da 'maestria' e 'abilità'... ça va sans dire) non interverranno perché sanno che quando ci scappa il morto sono cazzi (cazzi per modo di dire perché è ormai è statistica che i lavoratori 'regolari' perdono la vita, nel novanta per cento dei casi, proprio nel primo giorno di lavoro!).
Questo è il sunto del romanzo. Di facile lettura, nel senso che scorre veloce in modo abile e senza intoppi, e che rappresenta davvero uno spaccato sociale di questi nostri tempi.
Va fatta una precisazione, riprendendo lo spunto precedente: la recensione non 'puntella' (ancora ironia, ma oggi m'ha preso così) la drammatica situazione che ha visto l'Abruzzo subire una tragedia di vaste proporzioni, ma conferma che in questo paese le denunce di malefatte non sono mai abbastanza. Non scriviamo, e io per primo, per il piacere della conferma: semmai il contrario, nella speranza che quel che si dice non avvenga.
P.S. Non c'entra nulla ma cade a cecio: ma è vero che Del Giudice si è ritirato dal premio Strega proprio perché le voci che lo davano sicuro vincitore lo hanno infastidito? Sarebbe una vittoria della letteratura tutta, al di là dell'effettivo valore dello Strega stesso.
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