RECENSIONI
Daniele Scalise
Lettera di un padre omosessuale alla figlia
Rizzoli, Pag. 143 Euro 15,00
Quando nel 1970 uscì il romanzo di Mario Soldati L'attore (che fu poi anche premio Campiello), Ennio Flaiano nel recensirlo scrisse: le prime quaranta pagine sono bellissime, il resto è sempre Mario Soldati.
Potrei dire la stessa cosa di questa sorta di lettera-diario di Daniele Scalise. La prima parte, quella in cui l'autore con un coraggio senza eguali ed una finezza introspettiva rimarchevole, si presenta ai lettori e alla propria figlia, è straordinaria. Se i giovani esordienti, quelli a cui basta pubblicare una storiella "di moda" per definirsi scrittori, utilizzassero una minima parte dell'adesione emozionale che ha messo in campo lo Scalise, forse avremmo una letteratura diversa e più coinvolgente.
Vi è in questa "ricostruzione" esistenziale un tormento, se non fosse un paradosso perché è comunque scritto, quasi indicibile, che trasmette al lettore una vera e propria sofferenza fisica e che poi inevitabilmente sfocia in una dichiarazione di intenti lucida, consapevole e liberatoria: Sono sempre stato persuaso che sia importante per un gay dichiararsi tale con il mondo che lo circonda. Prima succede, meglio è. E' una questione non solo di rispetto per se stessi ma anche di igiene mentale.
Ma spesso i libri si amano e si apprezzano per una chiave di lettura o una frase o un rigo appena (citazione da "Scrivimi", successo di Luciano Tavoli) che magari altri non colgono, non perché incapaci o insensibili, ma perché, essendo un libro "un arnese", come diceva Ejzenstejn, il suo utilizzo spesso distrae.
Vi è addirittura una parola in questa lunga, appassionata, lettera ad una figlia che mi ha segnato. E' la definizione che Scalise dà della tolleranza degli "altri" verso i gay: untuosa. È quella che si può definire tranquillamente una "trigged word". Cosa sono le trigger words? Sono le cosiddette parole grilletto ovvero quei termini dalla forte valenza suggestiva, negativa o positiva, che inviano un segnale di stop al nostro cervello. L'espressione "untuosa" in me ha operato alla stessa maniera in cui operò la comprensione perfetta del concetto di tolleranza pasoliniana.
Una chiave di lettura come dicevo, e quindi una porta che si apre sul mondo: l'untuosità che è innanzi tutto del potere e poi di chi si aggrega per piaggeria e compiacenza, poi per interesse e anche futilità.
Il resto del libro (le pagine successive alla quaranta, tanto per tenerci cara la definizione di Flaiano) scorrono "civili", quasi, se mi si passa il termine, didattiche. Un resoconto stringato ed essenziale delle primiere battaglie per i diritti civili dei gay, raccontato appunto ad una persona che la si pensa non indifferente, ma estranea al contesto. E in più una sorta di rapporto sulla legislazione dei paesi in fatto di matrimoni e possibilità di adozioni.
A favore di Scalise c'è anche la sottolineatura di una frase dello psicanalista Sandro Gindro (a cui ricorse nel tentativo di "comprendersi" e che segna il momento forse più alto ed emozionante di tutto il libro): La rivoluzionarietà dell'omosessualità non è ideologizzabile.
Sacrosante parole! Ma mi verrebbe da aggiungere che la conquista dei relativi diritti, nel caso fossero lungamente disattesi, potrebbero e dovrebbero essere raggiunti anche con l'uso della forza. Ma forse è in contrasto con la definizione di un libro così corretto ed essenziale (in tutti i sensi).
di Alfredo Ronci
Potrei dire la stessa cosa di questa sorta di lettera-diario di Daniele Scalise. La prima parte, quella in cui l'autore con un coraggio senza eguali ed una finezza introspettiva rimarchevole, si presenta ai lettori e alla propria figlia, è straordinaria. Se i giovani esordienti, quelli a cui basta pubblicare una storiella "di moda" per definirsi scrittori, utilizzassero una minima parte dell'adesione emozionale che ha messo in campo lo Scalise, forse avremmo una letteratura diversa e più coinvolgente.
Vi è in questa "ricostruzione" esistenziale un tormento, se non fosse un paradosso perché è comunque scritto, quasi indicibile, che trasmette al lettore una vera e propria sofferenza fisica e che poi inevitabilmente sfocia in una dichiarazione di intenti lucida, consapevole e liberatoria: Sono sempre stato persuaso che sia importante per un gay dichiararsi tale con il mondo che lo circonda. Prima succede, meglio è. E' una questione non solo di rispetto per se stessi ma anche di igiene mentale.
Ma spesso i libri si amano e si apprezzano per una chiave di lettura o una frase o un rigo appena (citazione da "Scrivimi", successo di Luciano Tavoli) che magari altri non colgono, non perché incapaci o insensibili, ma perché, essendo un libro "un arnese", come diceva Ejzenstejn, il suo utilizzo spesso distrae.
Vi è addirittura una parola in questa lunga, appassionata, lettera ad una figlia che mi ha segnato. E' la definizione che Scalise dà della tolleranza degli "altri" verso i gay: untuosa. È quella che si può definire tranquillamente una "trigged word". Cosa sono le trigger words? Sono le cosiddette parole grilletto ovvero quei termini dalla forte valenza suggestiva, negativa o positiva, che inviano un segnale di stop al nostro cervello. L'espressione "untuosa" in me ha operato alla stessa maniera in cui operò la comprensione perfetta del concetto di tolleranza pasoliniana.
Una chiave di lettura come dicevo, e quindi una porta che si apre sul mondo: l'untuosità che è innanzi tutto del potere e poi di chi si aggrega per piaggeria e compiacenza, poi per interesse e anche futilità.
Il resto del libro (le pagine successive alla quaranta, tanto per tenerci cara la definizione di Flaiano) scorrono "civili", quasi, se mi si passa il termine, didattiche. Un resoconto stringato ed essenziale delle primiere battaglie per i diritti civili dei gay, raccontato appunto ad una persona che la si pensa non indifferente, ma estranea al contesto. E in più una sorta di rapporto sulla legislazione dei paesi in fatto di matrimoni e possibilità di adozioni.
A favore di Scalise c'è anche la sottolineatura di una frase dello psicanalista Sandro Gindro (a cui ricorse nel tentativo di "comprendersi" e che segna il momento forse più alto ed emozionante di tutto il libro): La rivoluzionarietà dell'omosessualità non è ideologizzabile.
Sacrosante parole! Ma mi verrebbe da aggiungere che la conquista dei relativi diritti, nel caso fossero lungamente disattesi, potrebbero e dovrebbero essere raggiunti anche con l'uso della forza. Ma forse è in contrasto con la definizione di un libro così corretto ed essenziale (in tutti i sensi).
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