RECENSIONI
Eric Jourdan
Per sempre
Edizioni del Cardo, Pag.249 Euro 15,80
Non c'è niente da fare, le storie di (su e con) omosessuali, non si sa per quale motivo, vanno sempre a finir male. Ricordo ancora con raccapriccio la ferale mole di narrativa gay poco dopo l'esplosione del "fenomeno AIDS": un pianto greco, un interminabile eterno riposo dai toni agghiaccianti, un mugolio lamentevole di tragedie che colpivano intere generazioni. Uno tzunami (scusate il termine) delle gagliardie ginnico-saunistiche del mondo "diverso".
Per fortuna che ad una situazione del genere si è posto rimedio (non ignoriamo perché un evento del genere sia accaduto, ma siamo fondamentalmente all'oscuro del motivo della sua morte improvvisa. Merito (o colpa) degli inibitori delle proteasi?), ma la tentazione di un romanticismo funerario è sempre in punta di penna.
Per sempre, pur se scritto nel 2005, racconta una storia che si dipana tra le due guerre (c'è un unico accenno alla situazione politica del momento, nel marasma emotivo della vicenda, quando si dice che vi è uno Stato che sta invadendo altre terre) e quindi nella penetrazione (per carità, limitiamo il sarcasmo) della problematicità gaya il nodo temporale va tenuto in considerazione.
John e Doug sono amici sin dall'infanzia. Il primo ha mezzi finanziari di una certa importanza, l'altro no. Per questo che il ricco fa di tutto per tenersi il povero, pagandogli anche gli studi universitari, ma soprattutto perché scopre che gli piace e che vorrebbe passare tutta la vita con lui. C'è anche la fragile relazione tra John e Ethel, ragazza destinata a sposarlo, che non capisce, finché non ci sbatte il muso, della freddezza sentimentale dell'amato.
Come dice Renato Zero, no, il triangolo no, non lo avevo considerato. Infatti non avviene, ma ben altre disgrazie sono in agguato, fino alla nemesi finale.
Si scherza: il tono forzatamente ironico delle mie stime non tragga in inganno. Questo è un libro piacevole (lo so, leggere di un Arbasino che rammenta del suo albumino di foto dei più fallaci paracarri pontifici nella Vecchia Roma [1] è tutt'altra cosa, me ne rendo conto), tradotto con garbo ed attenzione da chi si sa amante delle letture non superficiali e scontate (peccato quelle smancerie autoriali tipo il caldo afrore dei corpi... il sordo rumore dei colpi [pag.28] o le rime da Pace-Panzeri-Pilat nell'acqua fredda, vieni qua, il sole presto ti riscalderà [pag.70]).
Certo, nell'epoca delle "dark rooms" veder rappresentata una storia d'amore vissuta fino alle estreme conseguenze fa un po' senso. Se qualcuno, preso da un trasporto irrefrenabile, pur se sincero, dovesse pensare, come pensa il protagonista, La mia intera vita era là, o forse si trattava della mia morte?, beh probabilmente lo terrei lontano peggio della peste.
Il senso da dare ai miei dubbi scaturita dalla lettura di Per sempre sta forse nella ricerca di un equilibrio che scavalchi le inevitabili incongruenze del tempo che fugge. O forse è l'incapacità dell'autore, Eric Jourdan, nell'afflato poco consumistico del suo sentire, a convincerci del tutto della bontà del suo prodotto.
Ma lo confesso, il romanzo, pur nella sua grottesca incapacità a confrontarsi col presente, e addirittura con un presente piazzato tra le due guerre dove la "logica" dei sentimenti era lontana e l'orgoglio gayo era creatura aliena, affascina ed intenerisce.
Come se cercassimo qualcosa che abbiamo perso e non c'è più. Perché non c'è più. Davvero.
[1] Alberto Arbasino - Noi del bar Jamaica – L'Espresso - dicembre 2007.
di Alfredo Ronci
Per fortuna che ad una situazione del genere si è posto rimedio (non ignoriamo perché un evento del genere sia accaduto, ma siamo fondamentalmente all'oscuro del motivo della sua morte improvvisa. Merito (o colpa) degli inibitori delle proteasi?), ma la tentazione di un romanticismo funerario è sempre in punta di penna.
Per sempre, pur se scritto nel 2005, racconta una storia che si dipana tra le due guerre (c'è un unico accenno alla situazione politica del momento, nel marasma emotivo della vicenda, quando si dice che vi è uno Stato che sta invadendo altre terre) e quindi nella penetrazione (per carità, limitiamo il sarcasmo) della problematicità gaya il nodo temporale va tenuto in considerazione.
John e Doug sono amici sin dall'infanzia. Il primo ha mezzi finanziari di una certa importanza, l'altro no. Per questo che il ricco fa di tutto per tenersi il povero, pagandogli anche gli studi universitari, ma soprattutto perché scopre che gli piace e che vorrebbe passare tutta la vita con lui. C'è anche la fragile relazione tra John e Ethel, ragazza destinata a sposarlo, che non capisce, finché non ci sbatte il muso, della freddezza sentimentale dell'amato.
Come dice Renato Zero, no, il triangolo no, non lo avevo considerato. Infatti non avviene, ma ben altre disgrazie sono in agguato, fino alla nemesi finale.
Si scherza: il tono forzatamente ironico delle mie stime non tragga in inganno. Questo è un libro piacevole (lo so, leggere di un Arbasino che rammenta del suo albumino di foto dei più fallaci paracarri pontifici nella Vecchia Roma [1] è tutt'altra cosa, me ne rendo conto), tradotto con garbo ed attenzione da chi si sa amante delle letture non superficiali e scontate (peccato quelle smancerie autoriali tipo il caldo afrore dei corpi... il sordo rumore dei colpi [pag.28] o le rime da Pace-Panzeri-Pilat nell'acqua fredda, vieni qua, il sole presto ti riscalderà [pag.70]).
Certo, nell'epoca delle "dark rooms" veder rappresentata una storia d'amore vissuta fino alle estreme conseguenze fa un po' senso. Se qualcuno, preso da un trasporto irrefrenabile, pur se sincero, dovesse pensare, come pensa il protagonista, La mia intera vita era là, o forse si trattava della mia morte?, beh probabilmente lo terrei lontano peggio della peste.
Il senso da dare ai miei dubbi scaturita dalla lettura di Per sempre sta forse nella ricerca di un equilibrio che scavalchi le inevitabili incongruenze del tempo che fugge. O forse è l'incapacità dell'autore, Eric Jourdan, nell'afflato poco consumistico del suo sentire, a convincerci del tutto della bontà del suo prodotto.
Ma lo confesso, il romanzo, pur nella sua grottesca incapacità a confrontarsi col presente, e addirittura con un presente piazzato tra le due guerre dove la "logica" dei sentimenti era lontana e l'orgoglio gayo era creatura aliena, affascina ed intenerisce.
Come se cercassimo qualcosa che abbiamo perso e non c'è più. Perché non c'è più. Davvero.
[1] Alberto Arbasino - Noi del bar Jamaica – L'Espresso - dicembre 2007.
di Alfredo Ronci
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