RECENSIONI
David el Marte
Primo nome Manuel
Zona, Pag. 147 Euro 15,00
Si scopa poco. In genere e soprattutto in questo libro. Questione questa che affrontai anni fa dopo aver letto un romanzo di Marco Mancassola (anzi, ad essere precisi, l'affrontai direttamente con l'autore attraverso uno scambio di mail).
Preoccupante? Fondamentalmente no: ognuno può fare quello che vuole, anche arrivare vergine sul punto di morte... ma è curioso che la non-pratica s'abbini all'arte del narrare. Nel senso che l'esperienza dello scrivere non porta di fatto alla copula, ci mancherebbe altro, ma l'esperienza dello scrivere di tumulti amorosi e spesso ormonali dovrebbe suggerire almeno l'azione.
Macché. In Primo nome Manuel non si scopa mai.
E dire che l'inizio prometteva: Sono un giovane di ventisette anni che non ha ancora trovato alcuna stabilità nella propria vita. Di temperamento apparentemente razionale, vivo una sessualità che, dal profondo, mi disorienta e sconvolge la mia esistenza determinandone le scelte fondamentali. Tutto inizia quando a diciassette anni, mi innamoro di un mio compagno di collegio...
La promessa sta nel fatto che si ammette una sessualità - il viverla - ma poi si cade nella psichiatria quando la stessa è disorientante e sconvolgente.
Il povero protagonista, tranne le avventurine post-adolescenziali (sempre con giovani baldi), si trova ad amare un coetaneo che invece non ricambia e quindi, della serie morettiana: continuiamo a farci del male, insiste nei suoi approcci all'acqua di rose senza però riuscire a portarselo a letto.
Insomma: uno sdilinquimento dei sensi, un soporifero 'ci provo o non ci provo', un anestetico ammorbo ormonale. E non ce n'è. Il ragazzo non tromba.
L'autore ci evita, bontà sua, lo scojonamento del romanzo formativo-gayo, con annessi e connessi soprattutto nella toponomastica mediocre dei luoghi di ritrovo europei: chessò, Mikonos, chessò Berlino (va per la maggiore) chessò Amsterdam (ditelo a Matteo B. Bianchi), chessò Sitges (la spiaggia gay di Barcellona) chessò, Colonia e palle simili.
Ma non ci risparmia lo squallore di un'esistenza passata tra piste da ballo e piste di altre cose. Della serie: acido lattico fin sotto le suole delle scarpe.
Il romanzo gayo o è brutto (si dice: la letteratura non può essere gay, o è brutta o è bella. Ecco, nella stragrande maggioranza dei casi è orribile), o è vecchio come nelle storie ancien régime alla Severini, o è flatulente come nel vissuto uniformato di un'omosessualità standardizzata.
Basta. Davvero.
E tu el Marte, che tra l'altro sei anche laureato in lettere antiche, lascia stare gli amplessi, non è cosa per te (eppure in Grecia e nell'antica Roma si trombava a meraviglia) e vatti a fare una passeggiata tra i vecchi lupanare di Pompei. Dovessi trovare ispirazione.
di Alfredo Ronci
Preoccupante? Fondamentalmente no: ognuno può fare quello che vuole, anche arrivare vergine sul punto di morte... ma è curioso che la non-pratica s'abbini all'arte del narrare. Nel senso che l'esperienza dello scrivere non porta di fatto alla copula, ci mancherebbe altro, ma l'esperienza dello scrivere di tumulti amorosi e spesso ormonali dovrebbe suggerire almeno l'azione.
Macché. In Primo nome Manuel non si scopa mai.
E dire che l'inizio prometteva: Sono un giovane di ventisette anni che non ha ancora trovato alcuna stabilità nella propria vita. Di temperamento apparentemente razionale, vivo una sessualità che, dal profondo, mi disorienta e sconvolge la mia esistenza determinandone le scelte fondamentali. Tutto inizia quando a diciassette anni, mi innamoro di un mio compagno di collegio...
La promessa sta nel fatto che si ammette una sessualità - il viverla - ma poi si cade nella psichiatria quando la stessa è disorientante e sconvolgente.
Il povero protagonista, tranne le avventurine post-adolescenziali (sempre con giovani baldi), si trova ad amare un coetaneo che invece non ricambia e quindi, della serie morettiana: continuiamo a farci del male, insiste nei suoi approcci all'acqua di rose senza però riuscire a portarselo a letto.
Insomma: uno sdilinquimento dei sensi, un soporifero 'ci provo o non ci provo', un anestetico ammorbo ormonale. E non ce n'è. Il ragazzo non tromba.
L'autore ci evita, bontà sua, lo scojonamento del romanzo formativo-gayo, con annessi e connessi soprattutto nella toponomastica mediocre dei luoghi di ritrovo europei: chessò, Mikonos, chessò Berlino (va per la maggiore) chessò Amsterdam (ditelo a Matteo B. Bianchi), chessò Sitges (la spiaggia gay di Barcellona) chessò, Colonia e palle simili.
Ma non ci risparmia lo squallore di un'esistenza passata tra piste da ballo e piste di altre cose. Della serie: acido lattico fin sotto le suole delle scarpe.
Il romanzo gayo o è brutto (si dice: la letteratura non può essere gay, o è brutta o è bella. Ecco, nella stragrande maggioranza dei casi è orribile), o è vecchio come nelle storie ancien régime alla Severini, o è flatulente come nel vissuto uniformato di un'omosessualità standardizzata.
Basta. Davvero.
E tu el Marte, che tra l'altro sei anche laureato in lettere antiche, lascia stare gli amplessi, non è cosa per te (eppure in Grecia e nell'antica Roma si trombava a meraviglia) e vatti a fare una passeggiata tra i vecchi lupanare di Pompei. Dovessi trovare ispirazione.
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