RECENSIONI
Mary Woronov
Swimming underground
Meridiano Zero, Pag. 187 Euro 8,00
Quando uscì, nel 1990, Songs for Drella, il disco realizzato da John Cale e Lou Reed, molta stampa musicale gridò al capolavoro e soprattutto al miracolo, dal momento che due delle menti più creative del periodo della Factory warholiana erano tornate a lavorare insieme (anche se il sodalizio franò dopo poco tempo).
Disco che in qualche modo, proprio nella dedica a Warhol, che dagli amici era chiamato appunto 'Drella', racchiuse il senso delle esperienze passate, un flashback dei loro giorni trascorsi insieme e nello stesso tempo un sentito e schietto omaggio al mondo che fu e di cui loro furono mentori e audaci precursori.
Mary Woronov, con questo libriccino stringato e lisergico ha voluto in qualche modo raddoppiare l'operazione ed ha affrontato l'argomento dal punto di vista più superficiale e mondano, nel tentativo di riuscire a dare un quadro più completo possibile della galleria di bizzarri personaggi e dello stile di vita che caratterizzarono i primi anni sessanta e una città come New York e, nello stesso tempo, dare un'altra chiave di lettura al fenomeno culturale legato alla Factory di Warhol.
Crediamo però che non ci siano filtri interpretativi: la Woronov, schiettamente e a volte anche ingenuamente, racconta quel che ha visto con gli occhi di una che sa di essere al centro di eventi forse più grandi di lei e riassume il senso di quella realtà spesso onirica, di sicuro multicolore e distorta attraverso una scrittura fin troppo lineare e ripetitiva.
L'inizio è sorprendente, quando racconta del 'falso' salvataggio della madre nelle acque adiacenti la Jones Beach e con una malia da scrittrice consumata la seguiamo nei primi approcci con la 'materia' fin da quel viaggio che la porterà dietro Warhol prima in California e poi a New York: Le stazioni dei pullman sono deprimenti, e sempre gelate: sono la cartina tornasole della determinazione di chi viaggia.
Lei determinata lo era, anche quando si trova a contatto con una nuova realtà claustrofobica ed oscura: e poco tempo dopo entrai a far parte del selezionatissimo gruppo che circondava Warhol durante i giorni della 'Silver Factory' sulla quarantasettesima Strada: il Popolo delle Talpe. Talpe in quanto si facevano vedere solo di notte, con gli occhiali sa sole e un pallore che era il risultato di anni di esistenza sotterranea.
Da questo momento la lettura si fa noiosa e, come si diceva prima, ripetitiva (ma forse lo era la vita di quei personaggi), lisergica e drogata, ma poco sessuale (la Woronov si 'vantava' di non scopare mai e di aver perso la verginità con uno sconosciuto attraverso un atto liberatorio e necessario... per fortuna che sarebbero arrivati poi i tempi di Sex and the city).
La fascinazione dell'inizio perde punti proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe l'esplosione dell'artificio e la 'trasposizione' degli eventi. Macché, il susseguirsi di un 'trip' inarrestabile e monocorde alla fine sfianca.
Probabilmente mi alienerò molti lettori, ma il libro della Woronov mi ha fatto lo stesso effetto che mi fa la lettura di quelli di Burroughs: anticipatori quanto volete, ma noiosi ed autoreferenziali. Chissà forse non andrebbero letti, ma direttamente iniettati.
Di questo direi: romanzo non seminale.
di Alfredo Ronci
Disco che in qualche modo, proprio nella dedica a Warhol, che dagli amici era chiamato appunto 'Drella', racchiuse il senso delle esperienze passate, un flashback dei loro giorni trascorsi insieme e nello stesso tempo un sentito e schietto omaggio al mondo che fu e di cui loro furono mentori e audaci precursori.
Mary Woronov, con questo libriccino stringato e lisergico ha voluto in qualche modo raddoppiare l'operazione ed ha affrontato l'argomento dal punto di vista più superficiale e mondano, nel tentativo di riuscire a dare un quadro più completo possibile della galleria di bizzarri personaggi e dello stile di vita che caratterizzarono i primi anni sessanta e una città come New York e, nello stesso tempo, dare un'altra chiave di lettura al fenomeno culturale legato alla Factory di Warhol.
Crediamo però che non ci siano filtri interpretativi: la Woronov, schiettamente e a volte anche ingenuamente, racconta quel che ha visto con gli occhi di una che sa di essere al centro di eventi forse più grandi di lei e riassume il senso di quella realtà spesso onirica, di sicuro multicolore e distorta attraverso una scrittura fin troppo lineare e ripetitiva.
L'inizio è sorprendente, quando racconta del 'falso' salvataggio della madre nelle acque adiacenti la Jones Beach e con una malia da scrittrice consumata la seguiamo nei primi approcci con la 'materia' fin da quel viaggio che la porterà dietro Warhol prima in California e poi a New York: Le stazioni dei pullman sono deprimenti, e sempre gelate: sono la cartina tornasole della determinazione di chi viaggia.
Lei determinata lo era, anche quando si trova a contatto con una nuova realtà claustrofobica ed oscura: e poco tempo dopo entrai a far parte del selezionatissimo gruppo che circondava Warhol durante i giorni della 'Silver Factory' sulla quarantasettesima Strada: il Popolo delle Talpe. Talpe in quanto si facevano vedere solo di notte, con gli occhiali sa sole e un pallore che era il risultato di anni di esistenza sotterranea.
Da questo momento la lettura si fa noiosa e, come si diceva prima, ripetitiva (ma forse lo era la vita di quei personaggi), lisergica e drogata, ma poco sessuale (la Woronov si 'vantava' di non scopare mai e di aver perso la verginità con uno sconosciuto attraverso un atto liberatorio e necessario... per fortuna che sarebbero arrivati poi i tempi di Sex and the city).
La fascinazione dell'inizio perde punti proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe l'esplosione dell'artificio e la 'trasposizione' degli eventi. Macché, il susseguirsi di un 'trip' inarrestabile e monocorde alla fine sfianca.
Probabilmente mi alienerò molti lettori, ma il libro della Woronov mi ha fatto lo stesso effetto che mi fa la lettura di quelli di Burroughs: anticipatori quanto volete, ma noiosi ed autoreferenziali. Chissà forse non andrebbero letti, ma direttamente iniettati.
Di questo direi: romanzo non seminale.
di Alfredo Ronci
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