RECENSIONI
Laura Kasischke
Un animo d’inverno
Neri Pozza, Pag. 236 Euro 17,00
Una giornata lunga una vita. Un lento, interminabile crescendo che sfiora territori pericolosi. La pazzia. L’oblio. L’orrore.
È la mattina di Natale e a casa di Holly ed Eric stanno per arrivare parenti e amici come tutti gli anni. Fa freddo, nevica. Nella sua stanza Tatiana – “Tatty” – la tredicenne figlia adottiva dei due, dorme; o forse no, forse s’è già svegliata e non vede l’ora di aprire i regali. Questa è la claustrofobica situazione di partenza di Un animo d’inverno di Laura Kasischke, romanzo duro da leggere e che offre mille spunti di discussione. Eric esce per andare a prendere i suoi genitori all’aeroporto ed è lì che inizia uno strano gioco di rimandi al passato che si scioglierà solo all’ultima pagina.
“…qualcosa li aveva seguiti dalla Russia.” Holly ci fornisce immediatamente una chiave di lettura di quello che avverrà. Il grigio, triste orfanotrofio in Siberia dove viveva Tatty, è lontano dai festeggiamenti natalizi, ma torna continuamente nella mente della donna: li ha seguiti, come ripeterà più e più volte durante la narrazione. Quella breve frase di apertura in corsivo è infatti il grimaldello che permette di accedere a una realtà diversa, un irrazionale con venature horror che si sostanzia in alcuni fatti molto strani: la gatta che trascina le zampe posteriori, il rigonfiamento sulla mano di Eric, l’uccisione di una gallina (la sua preferita) da parte delle altre, la carta da parati che si stacca in bagno. Siamo insomma agli antipodi dei miracoli natalizi, quelli tipo La vita è meravigliosa, film che viene richiamato durante la narrazione.
Non fa sconti Un animo d’inverno, non permette rilassamenti o lettori disattenti. È un libro da (ri)leggere, proprio in base alle ultime righe che chiariscono tutto e gettano una luce diversa sulle pagine che l’hanno preceduto. A ben guardare sembra quasi che il piano della scrittrice (Laura) e quello della protagonista (Holly) a un certo punto si confondano. Holly è - meglio dire era - infatti una scrittrice e le sue riflessioni “sullo scrivere” assumono ben presto una valenza metaletteraria: è la letteratura che ragiona su se stessa, sulle sue regole e sulle sue dinamiche. Scrivere, ci dice Laura Kasischke, significa conoscere: “…concedimi mezz’ora per scrivere, per dare un significato a questa idea, per studiarla da vicino”.
di Marco Minicangeli
È la mattina di Natale e a casa di Holly ed Eric stanno per arrivare parenti e amici come tutti gli anni. Fa freddo, nevica. Nella sua stanza Tatiana – “Tatty” – la tredicenne figlia adottiva dei due, dorme; o forse no, forse s’è già svegliata e non vede l’ora di aprire i regali. Questa è la claustrofobica situazione di partenza di Un animo d’inverno di Laura Kasischke, romanzo duro da leggere e che offre mille spunti di discussione. Eric esce per andare a prendere i suoi genitori all’aeroporto ed è lì che inizia uno strano gioco di rimandi al passato che si scioglierà solo all’ultima pagina.
“…qualcosa li aveva seguiti dalla Russia.” Holly ci fornisce immediatamente una chiave di lettura di quello che avverrà. Il grigio, triste orfanotrofio in Siberia dove viveva Tatty, è lontano dai festeggiamenti natalizi, ma torna continuamente nella mente della donna: li ha seguiti, come ripeterà più e più volte durante la narrazione. Quella breve frase di apertura in corsivo è infatti il grimaldello che permette di accedere a una realtà diversa, un irrazionale con venature horror che si sostanzia in alcuni fatti molto strani: la gatta che trascina le zampe posteriori, il rigonfiamento sulla mano di Eric, l’uccisione di una gallina (la sua preferita) da parte delle altre, la carta da parati che si stacca in bagno. Siamo insomma agli antipodi dei miracoli natalizi, quelli tipo La vita è meravigliosa, film che viene richiamato durante la narrazione.
Non fa sconti Un animo d’inverno, non permette rilassamenti o lettori disattenti. È un libro da (ri)leggere, proprio in base alle ultime righe che chiariscono tutto e gettano una luce diversa sulle pagine che l’hanno preceduto. A ben guardare sembra quasi che il piano della scrittrice (Laura) e quello della protagonista (Holly) a un certo punto si confondano. Holly è - meglio dire era - infatti una scrittrice e le sue riflessioni “sullo scrivere” assumono ben presto una valenza metaletteraria: è la letteratura che ragiona su se stessa, sulle sue regole e sulle sue dinamiche. Scrivere, ci dice Laura Kasischke, significa conoscere: “…concedimi mezz’ora per scrivere, per dare un significato a questa idea, per studiarla da vicino”.
di Marco Minicangeli
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