RECENSIONI
Anna Ruchat
Volo in ombra
Quarup, Pag. 69 Euro 11,90
Fin dove il lettore vuole s'immagina una finzione: di una bimba che vive una vita serena con la madre, donna attiva e professionale, ma che nasconde un vuoto, un profondo vuoto, una mancanza terribile. Poi il lettore può svirgolare ed entrare nella biografia. Ma può mantenere l'impressione iniziale. Quasi il gioco.
Volo in ombra della scrittrice svizzera Anna Ruchat (e sulla quale il Paradiso già pose tempo fa la sua attenzione) è diviso in tre parti: si diceva la prima, confusa tra invenzione e no, ma con la presenza attiva della bambina e della sua vita, e la presenza 'passiva' di un padre che non c'è perché è morto, in un incidente aereo.
La seconda è un resoconto rapido e doloroso dell'uomo e del suo incidente (Volo perché non so camminare tra la gente) e delle ciniche ed inesorabili leggi militari (... per l'esercito si tratta sempre di errori umani. E replicare è difficile perché l'errore umano quando si vola è sempre una possibilità concreta). Addirittura un resoconto del corpo, disteso e frantumato sull'asfalto della pista di atterraggio, quando l'anima s'è già 'involata'.
La terza parte è la storia di Anna e della sua ossessione per la verità, che non è quella 'storica' o giudiziale, ma quella del proprio cuore di figlia a cui è stato sottratto un affetto o quello che avrebbe potuto essere anche qualcosa di più nella naturale dinamica tra padre e prole.
Poi nel marzo del 2008, ho deciso di andare a vedere dove mio padre era caduto. Meiringen fin lì era soltanto un nome, come Auschwitz, come Stammheim. Anzi, ho deciso di andare a Meiringen invece che ad Auschwitz e l'ho fatto con un fotografo.
Non stiano i puristi del dolore a protestare: invece è bello che la scrittrice identifichi il proprio con la grande tragedia dell'umanità. La sofferenza, per quanto moltiplicata per milioni, è la stessa se vissuta in modo singolare e personale.
Stordisce alla fine del racconto la sua presa di coscienza, quando davanti ai documenti che lei stessa ha 'reclamato', si trova di fronte la prova ultima del 'misfatto: una foto in cui la testa di suo padre è da una parte rispetto al resto del corpo su una grigia e mesta pista di atterraggio di un aeroporto svizzero. Paradossalmente non vi è frattura: anzi l'immagine le serve per ricucire un dolore e ricomporre un puzzle che nel tempo si è venuto a completare.
Un racconto svelto come – senza banalità – un battito di un uccello. Senza fronzoli: e questo è straordinario quando le tragedie sottraggono aggiunte fastidiose e sproporzionate. Ce lo insegna la televisione, al contrario, che la morte è show e business.
Anna Ruchat c'insegna il vero senso della pietas.
di Alfredo Ronci
Volo in ombra della scrittrice svizzera Anna Ruchat (e sulla quale il Paradiso già pose tempo fa la sua attenzione) è diviso in tre parti: si diceva la prima, confusa tra invenzione e no, ma con la presenza attiva della bambina e della sua vita, e la presenza 'passiva' di un padre che non c'è perché è morto, in un incidente aereo.
La seconda è un resoconto rapido e doloroso dell'uomo e del suo incidente (Volo perché non so camminare tra la gente) e delle ciniche ed inesorabili leggi militari (... per l'esercito si tratta sempre di errori umani. E replicare è difficile perché l'errore umano quando si vola è sempre una possibilità concreta). Addirittura un resoconto del corpo, disteso e frantumato sull'asfalto della pista di atterraggio, quando l'anima s'è già 'involata'.
La terza parte è la storia di Anna e della sua ossessione per la verità, che non è quella 'storica' o giudiziale, ma quella del proprio cuore di figlia a cui è stato sottratto un affetto o quello che avrebbe potuto essere anche qualcosa di più nella naturale dinamica tra padre e prole.
Poi nel marzo del 2008, ho deciso di andare a vedere dove mio padre era caduto. Meiringen fin lì era soltanto un nome, come Auschwitz, come Stammheim. Anzi, ho deciso di andare a Meiringen invece che ad Auschwitz e l'ho fatto con un fotografo.
Non stiano i puristi del dolore a protestare: invece è bello che la scrittrice identifichi il proprio con la grande tragedia dell'umanità. La sofferenza, per quanto moltiplicata per milioni, è la stessa se vissuta in modo singolare e personale.
Stordisce alla fine del racconto la sua presa di coscienza, quando davanti ai documenti che lei stessa ha 'reclamato', si trova di fronte la prova ultima del 'misfatto: una foto in cui la testa di suo padre è da una parte rispetto al resto del corpo su una grigia e mesta pista di atterraggio di un aeroporto svizzero. Paradossalmente non vi è frattura: anzi l'immagine le serve per ricucire un dolore e ricomporre un puzzle che nel tempo si è venuto a completare.
Un racconto svelto come – senza banalità – un battito di un uccello. Senza fronzoli: e questo è straordinario quando le tragedie sottraggono aggiunte fastidiose e sproporzionate. Ce lo insegna la televisione, al contrario, che la morte è show e business.
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