Cinema e Musica

Gratta gratta e ti esce il disagio: 'C'è un me dentro di me' di Giovanni Truppi.
Questo è un disco che va 'grattato', nel senso che bisogna scavare nell'ascolto per trovare alfine la perla: perché c'è. La superficie appare gioiosa e scanzonata, ma l'interno è meno spensierato di quanto si potrebbe pensare. In più un approccio vocale che in terra italica è inusuale ed impensabile.
Giovanni Truppi è un giovane cantautore napoletano che ha alle spalle, nonostante l'età, un curriculum di tutto rispetto. Che riversa poi con elegante nonchalance nelle sue canzoni.

Sono loro il vero pop anni'80 e sono tornati per riprenderselo con la sola 'D', quella di Duran Duran
Partiamo dal fatto che non se ne può più di questo ritorno agli anni'80. In musica soprattutto. Tutti che tentano, imitano, abbozzano, propongono. Così, il gruppo simbolo di un certo pop, di un certo romanticismo dandy che tanto fece infuriare all'epoca i critici barbuti (e barbosi) e ultra ortodossi del rock, tornano di nuovo a dar fastidio ai puristi snob della musica "artistica". A tre anni dal loro ultimo lavoro prodotto da Justin Timberlake, Simon le Bon, John Taylor e Nick Rhodes cercano di ripigliarsi gli anni'80. E ci riescono benissimo. All you neeed is now è una vera bomba di ritmo.

La felicità non è tutto, pare suggerirci Lucinda Williams: 'Blessed'.
Ad essere sinceri l'aspettavamo da un po' questo disco, e alla fine è arrivato. E lei ci sembra di nuovo in carreggiata, dopo qualche leggero sbandamento nelle ultime prove.
Ha confessato che sta bene, che è felice e che ha una vita che la soddisfa, ma nonostante ciò non rinuncia a parlarci di un mondo in difficoltà e delle malinconie dell'esistenza.
La musica è sempre quella, diretta e coinvolgente, divisa quasi equanimemente tra ballate e cavalcate rock (Blessed da questo punto di vista è più 'posato': c'è una maggiore prevalenza di 'lenti')

Raphael Gualazzi: ma sarà il Costello de noantri?
La Caselli è sempre ad un passo dall'essere dirigente e manager coi fiocchi: anche Gualazzi è sua creatura ed il fatto che il giovine gigante (siamo sul metro e novanta e oltre) abbia sbancato a Sanremo la dice lunga sulle capacità dell'ex casco d'oro.
Ma si diceva noi: sempre ad un passo da...
Il gruppo di punta della Cgd (Bocelli è un caso a parte), I Negroamaro, secondo me stazionano in una sorta di limbo dove da una parte c'è l'eccellenza e dall'altra c'è il cattivo gusto... ma stazionano.

I rumori del mondo nella calma di Cristina Donà: 'Torno a casa a piedi'.
Anche lei ha avuto un figlio, ma non ci ha scassato le palle come la Nannini: non si è fatta fotografare col pancione, non ha negato la paternità, e non ha fatto un disco sulla bellezza della nascita perché si sa, anzi tutto il mondo sa, che prima di lei miliardi di donne hanno fatto la stessa cosa con discrezione e senza sbandierarlo ai quattro venti.
Certo, anche la Donà s'è sentita coinvolta dall'evento, ma l'accenno è pacato e più lucido: 'Bimbo dal sonno leggero' più che sulla meraviglia del creato e del creare, è una saggia considerazione sulla durezza della vita.

Attenti all'underground romano. È pieno di talenti introversi, come i Dolcevena.
Non li sentirete in radio purtroppo. Il loro disco, il terzo album in studio, Etymology, è auto-prodotto. Magari lo trovate su internet (http://www.myspace.com/dolcevena), lo comprate su I Tunes. Vale la pena. Il loro è un rock grezzo, viscerale, psichedelico e la voce di Simone rende i pezzi tremendamente romantici, a volte strazianti. È quel tratto che, nell'underground romano, li caratterizza fortemente. I brani di questo nuovo album dei Dolcevena sono, in linea con il precedente The looking glass self,

Lagna o classe? Mica facile con 'Horses and high heels' di Marianne Faithfull.
Titolo provocatorio perché madama Marianna non merita epiteti lamentosi: la voce, così screziata e vissuta, è ancora un monumento all'espressività (vista poi com'è brava come attrice?) e pure le canzoni che sceglie (o che compone) non sono mai né piagnistei né tanto meno spia di banalità... però qualcosa va detto.
Easy come easy go, il precedente lavoro, c'era sembrato un'ancora di salvataggio

Il fascino acquoreo di Giuseppe Righini: 'In apnea'.
C'è scritto sul retro dell'elegante cd: Selezionato dal premio Tenco e dal Mei (Meeting degli indipendenti). Si sa, noi siamo orchi e paura non abbiamo e quindi insinuiamo: ma siamo davvero sicuri che il premio Tenco sia sinonimo di qualità a tutto tondo? Spesso e volentieri la manifestazione è una lagna indigeribile di cantautorato vecchio e trito (per poi ritrovarci a Sanremo un Vecchioni, eroe del Tenco, vecchio e trito e appunto lagnoso e dover leggere che quest'anno c'è stata una rivoluzione in merito...)

Come in letteratura, il talento par essere dappertutto: 'Seasons of my soul' della Rumer è carino, ma dov'è la dote?
Non ci si dica che siamo noiosi e ripetitivi, ma anche per Rumer il discorso è quello che si sta facendo, su queste colonne, da un po' di tempo ormai. E riassumiamo sintetizzando in due principali domande: perché mai sembrerebbe (e non lo è) che la produzione indipendente sia più creativa di quella multinazionale? (Anche se non è questo il caso, vista la label multimilionaria della cantante) Perché mai, in questo secolo di cloni e di uggia, escono milioni di dischi e molti sembrano essere capolavori?

Anna Calvi: qualche fantasma rock, ma il discorso sempre quello è!
Dicevasi tempo fa e ponevacisi domanda non pellegrina (sempre tempo fa, ma non molto): ma la musica indipendente quanto vale? Ma ha anche senso porsi una domanda del genere? Ma i dischi che invadono le classifiche possono essere valutati serenamente al di là della spinta pubblicitaria? Gli eroi del rock, in un'epoca come questa, quanto sono credibili e spendibili? Jim Morrison era più 'vergine' di Robbie Williams? E Daniel Johnston quanto è più 'alternativo' di Ligabue?
Perché il discorso, a proposito di Anna Calvi, sempre quello è.
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