Cinema e Musica

'Nella terra dei pinguini' il disco più pattipravesco della 'divina'.
A Sanremo ha fatto pena (come pena fece nel 2009 con 'E io verrò un giorno là). Ci si chiede: come può un'artista con quasi quarant'anni di carriera alle spalle cantare a quel modo? Passi l'abbassamento di voce, ma l'intonazione? Nella seconda serata ha sbagliato completamente l'entrata della strofa successiva al ritornello: quasi agghiacciante. Considerando che da giovane ha studiato conservatorio, le cose son due: o era fatta o ha dimenticato le nozioni più spicce di musica e canto.

La regina del rockabilly è tornata, pazza e geniale: 'The party ain't over' di Wanda Jackson.
C'è una pubblicità della Citroen in cui un sorridente John Lennon invita gli ascoltatori a mettere da parte la nostalgia per gli anni sessanta e settanta, e vivere nel presente. Non ci voleva certo il povero beatle a sentenziare una sesquipedale sciocchezza. Ma in alcuni casi il passato, attraverso una riverniciatura azzeccata, può risplendere ed avere la stessa allure; quando poi riesce addirittura a dare uno scossone alla noia, siamo di fronte non ad un'operazione nostalgica, ma ad un vero e proprio colpo di genio.

L'immarcescibile psichedelia elettro rock dei Mogwai partorisce un album perfetto. Toccante.
Sarà che la musica forse mi accende dei facili entusiasmi. Più della letteratura. (Infatti più che lo scrittore avrei voluto fare la rockstar). Ma sentire il settimo album in studio degli scozzesi Mogwai ed emozionarmi ancora è qualcosa che mi tocca, mi fa star bene, mi esalta, mi ridà speranza nella musica. Hardware will never die, but you will (titolo eccezionale), è un disco d'atmosfera, ipnotico. Meno arrabbiato rispetto, che so, a uno Young Team o Come on die young.

L'invenzione della tradizione. 'New brands' bell'esordio dei Geff.
Cantano i Geff nel brano (l'unico in italiano) 'Riff Geff', sorta di manifesto programmatico del gruppo ed ironica autocensura: Io preferisco chi inventa davvero...
Non male come intenzione, soprattutto di questi tempi, dove invece è inevitabile che ci si rifaccia a qualcosa o a qualcuno. Vero è che nelle note di accompagnamento al disco i musicisti – ma come non potrebbe essere – rivelano i loro padri putativi: si va dai classici per eccellenza, Beatles e Led Zeppelin

L'America agreste, bucolica e dolorosa dei Decemberists: 'The king is dead'.
A vederli sul loro sito ispirano simpatia e tenerezza: ragazzoni dell'Oregon che se ne stanno seduti ai bordi di un prato verde e che sembrano sfidare il mondo. Poi le cose stanno diversamente.
The hazard of love, il precedente album, aveva in qualche modo esplicitato le ossessioni di Colin Melloy, il leader, che s'era buttato con passione sul folk britannico.
Questo The king is dead vira su tutt'altri lidi: i più nostalgici troveranno echi della west coast e del caro Neil Young,

Il rituale post-pop prosegue, e i White Lies tessono la loro tela musicale con abilità e furbizia
Il secondo album dei White Lies, Ritual, non è bello né brutto. È semplicemente il secondo album. Ci sono alcuni grandissimi pezzi e altri meno riusciti. Nel complesso regge la super prova della riconferma dopo il grande successo del loro album d'esordio del 2009, To lose my life. Non aspettative chissà che. Ascoltatelo più volte e pian piano accontentatevi di scoprire delle belle chicche, che mi piace definire post-pop, perché loro affondano le loro radici nella new wave britannica anni'80 adattandola alla moda ormai senza freni di suonare per forza come i Joy Division (che volete fare, non se ne esce).

Panellismi e talento nel disco di Elisa Rossi: 'Viola Selise'
I più attenti la ricorderanno creatura 'aliena' (nel senso diversa dal volgo) e precisa nel canto come un orologio svizzero nella seconda edizione di X Factor. Poi ci pensò l'inerudita Ventura a sbatterla fuori. Come nelle migliori fiabe in cui c'è il lupo cattivo.
Elisa Rossi ha classe, ma non sappiamo se per frequentazioni giuste (ha fatto la scuola di canto moderno/jazz e il laboratorio della Maria Pia de Vito) o per talento sicuro: c'è che il suo disco veleggia su mari sicuri governato con maestria e abilità.

Ad ognuno il suo Legrottaglie, i tedeschi ora hanno Nina Hagen: 'Personal Jesus' l'ultima trovata.
C'è poco da fare la stupefatta in copertina: stupefatti siamo noi. Non che perdessimo il sonno per l'attesa di un nuovo disco della Hagen, ma mai avremmo pensato a dei risultati del genere.
Lei vuole fare ancora la scugnizza vivace, fa la birichina nell'approccio e soprattutto nel canto, come sua consuetudine, ma poi quel che esce dalla bocca sono insulse preci da catechesi di provincia.

Tra incubi giovanili esistenziali e sixties: 'Dei cani' dei Non voglio che Clara.
Ragazzacci. Dice Fabio De Min, il cantante e principale autore della band, ad un'intervista a XL di Repubblica: Ciò che mi è sempre piaciuto del nostro nome, al di là del fatto che questa Clara non esiste, è che al suo interno c'è una negazione, "non", che esprime un senso di volontà. E poi il nome di donna evidenzia la componente femminile che ben si adatta alla nostra musica. Dovessi sceglierlo adesso, ne sceglierei uno diverso. Magari Non è Francesca.

I migliori album del 2010
Il 2010, pur nelle pochezza musicale espressa, ci ha regalato un gioiello. Il primo e straordinario lavoro di un'artista emergente, la scozzese Jo Hamilton che ha ricevuto gli elogi dei grandi magazine internazionali, da Mojo a Southsonic fino all'Independent che l'ha definita "oceanica". E' nata una stella vera, altro che Lady Gaga, e in pochi se ne sono accorti.
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