Cinema e Musica

Cappelli piumati, porsche e ora perfino elicotteri. A voi il solito, grandioso, Jamiroquai.
Sarà che quando l'ascolto mi sento sempre in vacanza. Al mare, in spiaggia, in luoghi bellissimi e incontaminati. Sarà che la carica energetica che riescono a infondere i suoi ritmi funky (qualcuno direbbe acid jazz) sono ancora inimitabili (e inimitati). Così, anche per questo settimo album in studio di Jason K in arte Jamiroquai, registrato in parte nel suo studio di casa nel Buckinghamshire, in parte nell'Oxfordshire e in parte in Tailandia, mi ritrovo a parlare di un gioiellino, un disco che rimarrà un classico della sua produzione e del genere.

Repertorio immortale, interprete prodigiosa: 'Canzone napulitana' di Lina Sastri.
Non è la prima volta che la Sastri, attrice intensa, si dedica alla canzone napulitana: e i risultati sono sempre stati altrettanto intensi. Stavolta con l'aiuto di Vincenzo Mollica (gli si può dire tutto, che le sue critiche musicali sono solo marchette, ma l'uomo ha una sensibilità fuori del comune. Come quando curò la collana di cd musicali dedicati ai nostri più grandi attori) che le cuce addosso un dvd delle sue apparizioni televisive e, con un gruppo selezionato di musicisti di talento finissimo che l'accompagna in un disco memorabile, la Sastri, al suo meglio, ci regala una perla di inestimabile valore.

Il rumorista con la voce di agnello: 'The noise' di Neil Young
Nonostante tutto è sempre stato un punto di riferimento, e ci mancavano pure i punks (plurale) a dire che Nello Giovane era ancora una fiamma che ardeva e che la ruggine non dorme mai.
Lui però ne ha fatte di tutti i colori: abbastanza coerente nelle prime due decadi di attività (tanto che qualche critico in vena di malignità – e si sa che a malignare si fa male, ma si dice spesso la verità – affermò che se si mettevano in fila tutte le canzoni composte dal nostro, a mala pena si riusciva ad assemblare un unico disco, tanto si assomigliavano), dalla fine degli anni ottanta ha cominciato ad agitarsi.

È nata una stella, Jo Hamilton, ma in Italia non se ne sono accorti
Altro che Bjork (qualcuno ha osato paragonarcela). Qui siamo in presenza di una nuova Annie Lennox. Soave e sublime. Un'artista sontuosa dal punto vista vocale, originale e trascinante, intensa e leggera da quello musicale. Jo Hamilton, d'origini scozzesi ma residente a Birmingham, è uscita a settembre con un sorprendente album d'esordio e ha cominciato a girare su internet con una pagina web (questa http://johamiltongown.bandcamp.com/)

Quando l'indie incontra la tradizione: 'You are not alone' di Mavis Staples.
Diciamocela tutta: se non sopportate le negrone che si rivolgono in continuazione a Dio e che sembrano sempre illuminate dalla luce divina come lo erano i Blues Brother nel film, beh lasciate stare. Qua di Gesù Cristi, di Signori, di folgorazioni sulla via di damasco ce ne sono a iosa e alla fine mettono alla frusta pure l'ascoltatore più devoto.
Ma lei è Mavis Staples e chi le produce l'album è Jeff Tweady dei Wilco

Timothy, un talento nei talenti dell'underground romano. "Some page quarters" suona american indie d'autore.
E' bello poter parlare in maniera positiva della musica italiana. Soprattutto quando è romana e viene eseguita in lingua inglese, soprattutto quando si lega alla grande tradizione del rock d'autore, a metà fra le classical ballads dei cantautori americani e l'indie degli anni novanta. Timothy, al secolo Tiziano Russo, bassista di quella grandiosa band romana che sono i Dolcevena, sforma il suo primo lavoro individuale, interamente auto-prodotto, auto-distribuito e auto-realizzato, con una raffinatissima veste grafica in cartonato bianco.

Vocalese all'italiana: 'Edizione straordinaria' delle Voci di Corridoio.
Gli italiani non hanno una grande tradizione in fatto di vocalese (gli americani in questo sono maestri), e quando qualche sciagurato prova a metter su un progetto è subito emarginato dal mercato anche se poi il risultato è del tutto pregevole. Prendiamo ad esempio i Cluster, che i più assidui frequentatori della tv ricorderanno in alcune apparizione a X-Factor: hanno qualità prodigiose, tanto da essere stati recentemente inseriti in una lista internazionale tra i migliori 'vocalisti' in circolazione e che meriterebbero una considerazione più pubblica. Ma il paese ed il gusto musicale indigeno non raccoglie. Sordo si direbbe.

Un bignami del tempo che fu: 'Pilgrim's progress' dei Kula Shaker
Strano e curioso il mondo: ci si strappa i capelli (per chi li ha ancora) sul perché il mercato imponga le sue scelte ovunque e comunque e poi non sappiamo cogliere i frutti di qualche scelta coraggiosa che conferma l'eccezionalità della regola.
Metti i Kula Shaker: K, il loro esordio alla fine dei novanta (1996 per la precisione)aveva fatto il boom e se il gruppo avesse insistito con la formula brit-pop nessuno avrebbe avuto da ridire e il pubblico avrebbe plaudito.

Gli Interpol sono un po' diversi, ma non per questo inferiori
In realtà volevano suonare come in Turn on the bright light, il loro primo album, ma non è che ci siano riusciti appieno, per fortuna aggiungo. Gli Interpol di Paul Banks, gruppo che Robert Smith ha definito il migliore del decennio (e condivido), sono tornati con il loro quarto album, chiamato semplicemente Interpol. A me l'album piace, e molto. E dirò pure una cosa, sono diversi, sì, sufficientemente diversi dai primi ma, forse, migliori, perché non suonano più come uno scimmiottamento, seppure grandioso, dei Joy Division

Elogio della purezza: a settant'anni Judy Collins incide 'Paradise'.
Scrive bene Riccardo Bertoncelli: Chi gode di un disco del genere sappia che è destinato all'isolamento sociale e agli scherni degli amici - un modo eccellente, direi, di essere diversi.
Sì, perché ascoltare Judy Collins, ormai settantenne, alle prese con un repertorio che non si distacca minimamente da quello che lei ha sempre cantato è un bel tuffo nostalgico nel folk westcoastiano del bel tempo che fu.
Lei, per i più distratti, per i figliocci dell'indie rock, per gli ignoranti che ignorano è la famosa 'Judy blues eyes'
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