I Classici

Uno scrittore fuori da ogni moda: “Traditori di tutti” di Giorgio Scerbanenco.
Giorgio Scerbanenco ha avuto una vita tutt’altro che felice. Un passato burrascoso, col padre, Valeriano che, insegnante in una scuola di Kiev, fu fucilato

Divertirsi non è un problema: “La trappola colorata” di Luciano Folgore.
Luciano Folgore, nome d’arte di Omero Virgilio Cesare Francesco Vecchi (1888-1966), fu tra i principali collaboratori di Marinetti,

Un marxista per forza: ‘Le terre del Sacramento’ di Francesco Iovine.
Su Francesco Iovine è stata fatta, almeno stando a quanto si è letto e soprattutto si è scritto, una tassonomica precisazione sul suo operato, o meglio, su quanto lo scrittore stesso, nel corso della sua attività, ha prodotto.

Il lavoro distruttivo del fascismo: “L’uomo di Camporosso” di Guido Seborga.
Seborga è stato uno scrittore dimenticato, i suoi libri, che hanno avuto discreto successo a partire dalla fine degli anni quaranta, non sono stati mai più ripubblicati e su di lui ovviamente, è caduto il silenzio.

Resistenza, sempre Resistenza: “Il gallo rosso” di Giovanni Dusi.
Mi sarebbe piaciuto sapere cosa avrebbe potuto dire Claudio Pavone su questo libro che uscì nel 1973 per Marsilio.

L’Italia si fa: “Paura all’alba” di Arrigo Benedetti.
Prendiamo invece la sua attività letteraria che prima di Paura all’alba propose I misteri della città (1941), Le donne fantastiche (1942) e Una donna all’inferno (1945). Anche Paura all’alba uscì nel 1945 e tra le altre cose, nella copertina principale, riportava un disegno di Renato Guttuso.

Un’omosessualità più lucida: “Ragazzo di Trastevere” di Giuseppe Patroni Griffi.
Mica è facile parlare di Patroni Griffi. Innumerevoli sono le prestazioni a cui ha dedicato la sua vita letteraria e non solo: narratore, autore di testi teatrali, regista di teatro e di cinema.

C’è o non c’è ‘l’omosessualità’?: ‘L’onda dell’incrociatore’ di Pier Antonio Quarantotti Gambini.
Quarantotti Gambini fu senza dubbio ricordato come esponente, tra i principali, di quella che un tempo fu chiamata, senza peraltro che si possa contestare, la letteratura triestina del novecento.

Un classico poliziesco poco poliziesco: “L’assassinio nel vicolo della luna” di Jarro.
In tempi di calura, riscopriamo anche classici che per vari motivi non hanno superato il corso del tempo. Mi chiedo: perché De Angelis sì (scegliamo un nome più conosciuto) e Jarro no?

Un ‘carbonaro’ decisamente avventuroso: “Braccio di ferro” di Luigi Natoli.
La domanda che mi faccio potrebbe anche non avere un preciso significato e potrebbe essere addirittura valutata come inutile: in Italia quanto la letteratura popolare influenzò l’opinione pubblica o invece fu solo un’aggiunta al procedere sistematico della vita sociale e politica del paese?
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