I Classici

Un segno della tragedia che verrà: Vamba e il “Giornalino di Gianburrasca”.
Secondo voi, quale furono le intenzioni di Vamba (Luigi Bertelli), nel momento in cui uscirono le prime copie del suo famosissimo libro?

Un signore dall’aura inconfondibile: Alberto Carossi e il suo “Un ballo dagli Angrisoni”.
C’è un dubbio, anzi una negligenza, che assale le persone che si dedicano, con un po’ di coraggio e anche con un certo amore, alla nostra letteratura e soprattutto al periodo che va dal 1920 al 1945.

Un verista dimenticato: Mario Pratesi e ‘L’eredità’.
Quando si parla di verismo, per noi italiani l’unico protagonista assoluto è Giovanni Verga. Per carità, nulla da obiettare, ma si sa che una moda, una tendenza, addirittura una scuola, diventano più grandi e incisive se accanto ad un maestro riconosciuto attorno a quell’aura di concretezza sopravvivano altre figure di marcata validità.

La storia di una storia che forse c’è: 'Malacqua' di Nicola Pugliese.
1976. Nicola Pugliese, giornalista napoletano del quotidiano 'Roma' (che si definisce anche scrittore di racconti, anche se 'Malacqua' è un romanzo)

Come gli Uomini si trasformerebbero in Donne. Libro di Leda Muccini.
E’ lecito, mi chiedo da un po’ di tempo, dubitare del titolo di un libro e addirittura anche della sua copertina (anche se scelta col dovuto rispetto)? Forse sì, pur con le sue dovute precisazioni. Ma veniamo al caso.

La distopia reale di Corrado Alvaro: ‘L’uomo è forte’.
L’anno di uscita de L’uomo è forte è il 1938. Annata decisiva per il regime fascista. A giugno furono promulgati i primi provvedimenti contro la religione ebraica e questo fu una delle decisioni che contribuirono alla perdita di credibilità del regime nei confronti del popolo italiano.

Riuscito romanzo d’appendice o furbesco strappasoldi: ‘Il cappello del prete’ di Emilio De Marchi.
Cosa diremmo noi, al giorno d’oggi, se un quotidiano di ampia portata decidesse d’invadere le nostre città con cartelloni inerenti ad un magnifico cappello di un prete?

Un verista con singulti d’appendice. “Spasimo” di Federico De Roberto.
Dunque Federico De Roberto, esimio scrittore verista, pur di mettersi in tasca qualche soldo in più (I Viceré, il suo capolavoro, non era stato certo fonte di estremo guadagno) escogita questo piano editoriale pur ammettendo a sé stesso che quel che ne uscirà fuori sarà un romanzo d’appendice, ma che potrà avere il tocco di opera d’arte.

Testo difficile e autocensorio, per questo fondamentale.
Per molti anni si è cercato di capire quali siano stati gli influssi, i modelli del testo d’esordio di Giorgio Manganelli. Il libro, uscito nel 1964, procurò un sano scossone alla intelligenza di palazzo, e ancora oggi se ne sentono i risvolti.

Un libro quasi dimenticato. A torto. “Azorin e Mirò” di Manlio Cancogni.
Strana sorte è toccata a Manlio Cancogni. In quasi tutte le storie o i commenti alla letteratura italiana, tranne brevi connotazioni o richiami, mai lo si è indicato come scrittore serio e appassionato.
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