I Classici

Per travisar discorsi: 'La cosa buffa' di Giuseppe Berto.
Ha ragione il titolo: si è scelto La cosa buffa (invece chessò, Il male oscuro o l'altro successone Il cielo è rosso), non per la nostra solita sicumera di distanziarsi dal prevedibile, ma per un breve viaggio tout-court nell'arte bertiana per travisar discorsi (e perché comunque il romanzo è riuscito). Discorsi che non sono quelli lappa palle dell'identificazione ideologica del personaggio (che si farebbe notte: ma dunque era fascista? Ma per i fascisti era comunista? Era un traditore? Era cattolico o no?)

Insisto su un grande scrittore (e un grande libro): 'Le figlie inquiete' di Ugo Facco de Lagarda.
Rimane un mistero perché Calvino, Vittorini, Cassola, Pavese e Fenoglio (tanto per citarne alcuni) sì e Facco de Lagarda no. Non mi spiego l'oblio che è caduto su uno scrittore straordinario che, se non fosse per un improvviso bagliore di lucidità di Ettore Scola che nel 1969 realizzò il film Il commissario Pepe, tratto da un suo bellissimo romanzo, rimarrebbe sconosciuto ai più ed ignorato dalla critica 'militante'.

Consolatorio o problematico? Direi subdolo: 'La cieca di Sorrento' di Francesco Mastriani.
Ne Il processo Kafka scrive: "No" disse il sacerdote "non si deve credere che tutto è vero, si deve credere soltanto che tutto è necessario". "Malinconica opinione" commentò K. "Così della menzogna si fa una norma universale".
Perché della 'panzana' vado a cercar padri putativi? Perché tutto si è detto e scritto sull'arte del Francesco Mastriani, e soprattutto del suo più famoso romanzo La cieca di Sorrento (1852), tranne che all'apice del senso ultimo di questo vi sia la bugia. E grossa pure come una casa.

Profumi di un tempo che fu: 'Un po' di febbre' di Sandro Penna.
Scrive il poeta a fine libro: Questa silloge di racconti e foglietti sparsi, che da tempo giacevano in un angolo di casa mia, i pochi amici richiedevano con amorevole sollecitudine alla mia pigrizia, vincendo infine le ritrosie a pubblicare ed anche semplicemente a ripercorrere volti e momenti di una vita che mi apparteneva. Poi mi son detto che, se non altro, queste pagine attestano un rapporto febbrile con la realtà e con il mio lavoro di poeta e le ho sistemate, non secondo un ordine cronologico, poco rilevante, ma una progressiva chiarificazione; per il lettore ovviamente e non per me.

Le violenze del tempo nella letteratura di Giovanni Arpino: 'Un delitto d'onore'.
Al premio Strega del 1964 L'ombra delle colline e al breve ma intensissimo La suora giovane abbiamo preferito, tra la consistente produzione di Arpino, Un delitto d'onore.
Essenzialmente per due motivi: il primo riguarda la tematica del romanzo, appunto il delitto d'onore che, eliminato dalla nostra giurisprudenza solo nell'agosto del 1981, quando già la legge sul divorzio e quello sull'aborto erano capisaldi della storia sociale del nostro paese

Giuseppe Mazzaglia e l'ossessione per i quarti di carne: 'Principi generali'.
Sorprende, parzialmente, che le edizioni ISBN, nella collana Novecento italiano, ripubblichino Giuseppe Mazzaglia. La parzialità non sta nell'offerta, ma nella riscoperta.
Sì perché lo scrittore catanese, nel nostro panorama letterario, è un oggetto non identificato, una sorta di ufo che ha volteggiato nei nostri cieli (solo quattro libri) ma non è mai atterrato tra i comuni mortali. Eppure delle ossessioni di quest'ultimi ne è cinta la testa: e se si scoprono le carte e se si confessa che è il sesso a farla da padrone, meglio ancora, la fisima per il femminile gigantesco e felliniano

Il falso neorealismo di uno spirito inquieto: 'Un gatto attraversa la strada' di Giovanni Comisso.
Mi sono sempre chiesto il perché del premio Strega del 1955 ad un libro come questo: una sorta di scommessa con la vita, ma lontano dalle urgenze autobiografiche tipiche della prosa di Comisso.
Perché se da un lato vi è una visione, come detto nel titolo, falsamente neorealista (e spiegheremo perché) dall'altro c'è anche un distacco più che evidente dai lacci della propria esperienza.
C'è una bellissima definizione di Piovene di questo libro e dell'arte di Comisso di trattare i personaggi: Il suo modo di avvicinarli è totalmente anarchico e il suo senso dell'umanità è stradale.

L'ananché di un povero disgraziato: 'Novella storica' di Vittorio Sermonti.
Di storico c'è l'impianto: e permettetemi la battuta, quello sportivo e quello linguistico. Sportivo perché il giovine Sermonti (neppur tanto, trentasettenne nel 1966, anno di uscita del libro) ambienta la vicenda nella Roma olimpica del '60 e di conseguenza nelle strutture atte alle imprese degli atleti. Dice della gara il protagonista (pure del sottotitolo: 'su come Pierrot Badini sparasse le sue ultime cartucce'): Avrebbe pensato l'Olimpiade essere una universale partusa, all'occasione della quale l'umanità tutta quanta è, nei suoi meglio specimina esemplata, corporalmente si mescola s'impasta si squatra e si tira,

Attenti a Chiara. Non è solo il cantor della provincia: 'Il cappotto di astrakan' ne è la riprova!
L'uniformità di contenuti non è, nonostante tutto, la miglior chiave di lettura per comprendere Piero Chiara. Serpeggia anche nei suoi estimatori, sempre e costanti nel tempo, questo concetto essenziale, che è riducibile ad una calcolata opzione per il marginale, ad un'insistente attenzione per la quotidianità, ad una predilezione per il 'canone' comico e ad una innata tendenza per il provincialismo e per i tratti ad esso riconducibile: trasgressione, insinuazione e pettegolezzo. Tanto che i più attenti lettori di cose nostrane (pochissimi!) al richiamar di Chiara accoppiano Facco de Lagarda

Un tributo: Emanuele Artom. I diari.
Nel giorno della memoria si dimentica spesso Emanuele Artom. Forse perché ebreo sì, ma partigiano. Meglio ancora: nella suddivisione a compartimenti del dolore o si appartiene ad una categoria o ad un'altra. Sarebbe ricordata la sua figura, a imperituro ricordo, se fosse stato deportato (rischio a cui andò incontro spesso) e finito in un campo di concentramento. Morì invece, perché sfinito dalla sevizie e dalle violenze a cui fu sottoposto sin dal giorno della sua cattura il 26 marzo del '44, il sette di aprile dello stesso anno.
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