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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

AA.VV.

Penna 6 volte

Edizioni Era Nuova, Pag.107 Euro 10,00
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"Ogni formalismo assoluto altro non è che un contenutismo mascherato", scriveva Umberto Eco, maestro di color che sanno (e anche di "strega comanda color"). Difatti, uno Scrittore Maiuscolo, gran lodatore della Letteratura Maiuscola, quella che "non ha fini e non ha fine, se non illuminare per tutti e per tantissimo tempo il buio in cui versano i molti, anche quanti si credano mondati dalle tenebre, scandagliate, in questione" (e m'hai detto un pròspero!), in un suo intervento che ricordo ma non ho conservato (per insufficienza di prove mi tocca quindi celare il nome del Coso), così delira: "Sandro Penna è molto sceso nella mia considerazione da quando ho saputo che andava coi ragazzini dandogli cinquecento lire".

A parte il fatto che, se qualcuno scende nella considerazione del Maiuscolo, non è proprio notizia da telegiornale. Indi: se la letteratura è una questione formale, che c'entra il contenuto? E: Penna si faceva i ragazzini? 'sti cazzi! E' cosa che, al limite, riguarda(va) lui e la questura - e l'arte solo per come questa passione declina i versi. Poi c'è il solito starnazzatore che ti chiede, con l'occhietto furbo:"E se era tuo figlio?" Innanzitutto, una cosa non è giusta o sbagliata se c'entra mio figlio, mia cugina, mio cognato di secondo letto, ma secondo gli argomenti che si portano a favore o contro. Esempio: se mio figlio fosse un assassino, solo per questo dovrei essere favorevole all'omicidio? Non credo.

Ma poniamo: se i battoncèlli fossero miei figli, beh, io mi chiederei come mai stanno lì. Per costrizione? Ingabbiamo il costrittore e troviamo loro altro da fare. Perché nessuno li costringe? E che ci fanno lì, allora? Hanno bisogno di soldi, di quelli che io non potrei dar loro? Ma mica tutti i ragazzini stramicióni vanno a battere: nell'ipotesi, perché non vanno a rubare? E, soprattutto, come diceva uno di loro da me incontrato: perché, quando mi serve la grana e la chiedo ai cattivi, questi me la dànno, e i buoni no?

C'è inoltre la fregnaccia per cui la domanda crea l'offerta, e dunque siccome ci sono clienti allora ci sono prostituti (e prostitute). Ma se questo è vero, visto che la domanda esiste per tutti, come mai noi, dal presidente della repubblica fino al povero me, non ci prostituiamo o facciamo i ricottari?

Come si vede, nessuna di queste circostanze ha a che vedere con delle responsabilità dei frequentatori. Tanto meno ne ha per quel che riguarda Penna, la cui sensualità non si limitava certo agli incontri mercenari. Dunque, non si vede quale perdita di reputazione debba soffrire il Poeta: il quale, peraltro, con i suoi versi ha dato voce e corpo ai suoi ragazzi, dimodoché non venissero dimenticati. Cosa che sarebbe puntualmente successa se ad occuparsene fossero stati solo preti, psicocòsi, sbirri e difenzòri dell'Infànzia Innogente in genere - ad un borioso che lo accusava di sedurre i ragazzini, Penna rispose "sono loro che seducono me", e chiuse la questione.

E anch'io cambio registro, Lettore. Anzi, mi scuso: son cose queste penose da ricordare. Ma da trent'anni giornali del mattinàle ed esperti del menga suppurano questo scolo, e hanno così tanto e così a fondo corrotto il discorso sulla sessualità e sulle sessualità, che, perfino quando non si vorrebbe, tocca fare chiarezza su certi punti che sarebbero ovunque banali e dati per scontati se una banda di isterici non avesse intorbidato le acque con la loro merde tartinée. Per rifarsi la bocca, t'offro qualche linea d'un poeta al disopra d'ogni sospetto, che potrai citare senza incorrere nell'ira dei Maiuscoli: "Non esistono peccati d'amore / ripeteva il poeta a' più verd'anni / esistono solo peccati contro l'amore. / E quelli no, non li perdoneranno". (Vittorio Sereni)

Veniamo dunque al libretto che ho in mano: ess'è un festschrift, un tributo che l'Istituto tecnico commerciale Vittorio Emanuele II, avendo diplomato Penna ragioniere, dedica al suo alunno più famoso e famigerato. Curato da Luciano Bonanni, introdotto da Carlo Guerrini, e annotato da Diego Valeri (in un ripescaggio del 1956) ed Elio Pecora (già biografo del Nostro - Sandro Penna: una cheta follìa, Frassinelli, Milano: riedito con ampliamenti) il libriccìno raccoglie le traduzioni di alcuni pochi versi penniani in cinque lingue (più l' originale, fa il "6" del titolo: ma dico, non si poteva mettere in lettere, invece di far sembrare il titolo un SMS?). Gli idiomi del cimento sono francese (Jacqueline Bergonzy), tedesco (Martina Radig), inglese (Anna Scatigno, compaesana di Pino Pascali ma precoce niuiorchése), spagnolo (Ancilla Maria Antonini), portoghese (Vera Lúcia de Oliveira): e ben ci si rende conto, leggendo, che "poetry is what get lost in translation". Non è un appunto alla bravura dei ribaltatori (così li cresimò Bianciardi), che fra l'altro sanno a memoria (vedi p. 68) di quest'inconveniente, e nelle glosse loro spiegano i tentativi di superarlo (vedi pp. 32 e 80): ma a non rammentarlo - anche per rispetto a Beniamino Placido, che tanto c'insiste - sarebbe contrabbandare acqua tinta per vino. Per dire: "il mare è tutto azzurro" non è "the sea is all blue", (p. 58) e "um grito aleigre" non è "un urlo di gioia". (p. 88) E siamo ancora al lessico, che è la parte in fin dei conti più sintatticamente colloquiale (p. 49) della scienza artistica di Penna (ma vedi p. 97-99, e 102): venendo ai rimandi e ai rapporti di sonorità, è ovvio che "auf einem Brett - schlafend - ein wunderschöner Bursche", non ha nulla a che vedere con "e sopra un tavolaccio /dormiva un ragazzaccio/ bellissimo". (p. 46) Come in Bach, quel che conta nell'Autore perugino è il mondo morale (p. 29) reso nel tessuto armonico - "il mondo che vi pare di catene / tutto è intessuto di armonie profonde" - che tende a cogliere le risonanze più penetrate ove la parola s'annoda al biologico, e piglia corpo dàndo senso - riunendo così in un'omologia (un'omotetìa interna) l'attività intellettuale della significazione oggettiva e l'erotismo. E ciò avviene con un'aria di nulla, di canticchiare una di quelle canzonette sceme (epiteto graditissimo al Poeta) che tanto piacciono ai burdèl: e invece, d'un tratto e con nobile "sprezzatura", si va verso la "parola più profonda" di Achab, come nel distico "Amore, amore / lieto disonore". Dove il primo verso può intonarsi, magari con accento e geminazione delle "m" d'ascendenza partenopea, come venisse da una melodia popolaresca: mentre il secondo incupisce, colorandosi della "strana gioia di vivere" il "problema sessuale" che "prende tutta la (sua) vita", e che perciò è "croce e delizia".

Il problema allora diviene: se tradurre bene non si può, perché tradurre? Magari, in terra di ciechi, l'orbo è re. C'è un primo livello di comprensione, quello letterale, che in tal modo può avvicinare all'opera il lettore inesperto (e inesperti lo siamo tutti, anche in lingue che crediamo di conoscere - provi chi ha una buona frequentazione dell'inglese, a tradurre Auden o Dylan Thomas); e c'è l'informazione, che ogni lingua porta sempre, della forma di vita che imprinta e riveste, e che può intuirsi nella poesia prima che in altre modalità comunicative, se questa di vita si occupa. E, parlandone, segnalerei che viceversa l'intraducibilità di lingua in lingua (p. 49) sottolinea quel tanto d'irriducibile che v'ha tra uomo e uomo, impedendo non l'intesa ma l'omologazione, ch'è sogno degli avversari del relativismo, e incubo dei popoli.

Tradurre allora si configura come un als ob, un "come se" (p. 34): una ricerca di"analogon", una "ricreazione concertante" nella quale chi vòlta da una struttura alla successiva deve porsi il problema della fedeltà non al testo com'è dato, sebbene all'intenzione - ovvero deve passare dai problemi che una vita suscita a quelli suscitati dalla vita che li raccoglie.

Avrei, in ultimo, da ridire sulla selezione: i poemetti scelti, cioè, rappresentano Penna? Beh, insomma: e più "insomma no" che "insomma sì". Intanto, sono pochi. Forse si poteva aggiungere qualche pagina, o sacrificare dei commenti. Poi, c'è il solito due a picche: i ragazzini. Manca la dialettica che Penna svolge tramite loro: angeli ("trovato ho il mio angioletto"), bestioline ("della mia chiesa giovani animali"), in sintesi esseri umani (forse gli unici: "tra le colonne della legge / ridendo si masturba ogni fanciullo"). Che è il nodo "stretto fra angoscia e diletto" che fa da attrattore d'ogni configurazione dotata di senso che il poeta mette in scena. Che è - vélle o nòlle - il tono su cui Penna canta la sua canzone. Trascurarlo, significa comprarsi una radio che invece dei programmi, trasmetta solo scariche statiche. E fare un cattivo servizio non al poeta, che comunque ne esce indenne, ma a chi ha diritto ad accedere a quella realtà (p. 104) della quale lui è porta di percezione.



di Marco Lanzòl


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